LA
MUTAZIONE
ANTROPOLOGICA
DELL’IRPINIA
di
Lucio Garofalo
Ho atteso con ansia che
trascorresse la ricorrenza del 30°
anniversario della tragica morte di Pier Paolo
Pasolini, per provare a scrivere qualcosa su di lui, per
riflettere sul prezioso senso della sua figura e della sua opera, a
30 anni di distanza dalla sua precoce scomparsa, per ragionare
sull’attualità e sulla verginità delle sue idee così avanzate e così
ferocemente presenti oggi più di ieri, in quanto hanno anticipato
notevolmente i tempi.
La prima impressione che ho
ricavato dalle innumerevoli, scontate ed
ovvie celebrazioni dell’evento, è la seguente.
Ormai tutti sembrano
appropriarsi (o volersi appropriare)
dell’eredità del pensiero pasoliniano,
da sinistra a destra, rivalutando e riabilitando post
mortem un personaggio che in vita
era stato scomodo a tanti e da tanti
(troppi) è stato osteggiato, perseguitato e diffamato, mentre oggi
sembra far comodo a tanti, forse troppi per i suoi gusti di genio
anticonformista.
Ormai il sistema sembra aver
inglobato ed omologato persino le analisi e le riflessioni
provocatorie e rivoluzionarie
dell’intellettuale italiano (e non solo italiano) più geniale, più
anticonformista e più eversivo del Novecento.
Ma
Pasolini non può essere omologato e
assimilato con tanta facilità, e tantomeno
le sue idee possono essere addomesticate o neutralizzate nell’atto
di sposarle o ripensarle così banalmente. Eppure, l’operazione
in corso è proprio quella di un’assimilazione
politico-culturale del pensiero pasoliniano,
post mortem, in piena regola!
In particolare, l’industria
culturale, e lo starsistem in generale,
è ferocemente consumista ed ha
cinicamente consumato i riti e le celebrazioni
pasoliniane, divorando e metabolizzando il significato
eversivo e rivoluzionario dell’opera di Pier Paolo
Pasolini.
Chissà che cosa avrebbe da
dire oggi Pier Paolo
Pasolini
se fosse ancora vivo…
Chissà quali sarebbero le
sue opinioni e le sue provocazioni “corsare” a proposito, ad
esempio, della globalizzazione economica
neo-liberista e del “pensiero unico” (che
Pasolini seppe intuire già 30 anni or sono)
, della guerra “preventiva” in Iraq e della nuova strategia
del terrore globale, del “cavaliere nero” Silvio
Berlusconi e del suo pessimo governo “clerico-fascista”
in versione aggiornata, del subdolo tentativo di attuare il “Piano
di rinascita democratica” promosso della P2 di Licio
Gelli, delle leggi ad
personam… E, dulcis
in fundo, dell’ultimo colpo di mano,
quel “golpe elettorale” pseudo-proporzionalista
che non sancisce affatto la restaurazione del precedente sistema
proporzionale che, non a caso, era molto più serio e più democratico
di questa riedizione mistificante di un modello maggioritario
travestito (appunto) di proporzionalismo.
Altrimenti, quale senso e quale ruolo bisognerebbe assegnare al
“premio di maggioranza” previsto dalla proposta governativa di
riforma elettorale?...
2 novembre
1975 – 23 novembre 1980: tempo di
anniversari…
Il 2 novembre scorso, e nei
giorni immediatamente precedenti e successivi a quella data, si è
consumato una rituale e piatta rievocazione del 30° anniversario
della scomparsa, violenta e prematura, di Pier Paolo
Pasolini.
Senza dubbio, questa morte
ha costituito una perdita incolmabile per la cultura e per la
società non solo italiana, ma universale.
Non si tratta di una frase
fatta, né di una banale constatazione, bensì è la scoperta, magari
tardiva, da parte della collettività nazionale, dell’annientamento,
fisico e morale, di una coscienza critica
estremamente acuta e spietatamente sincera che, per quanto
fosse scomoda, ingombrante e destabilizzante, soprattutto per la
classe politica dirigente del nostro Stato, esprimeva comunque una
voce importantissima ed un pensiero estremamente utile e necessario
per capire meglio la direzione presa dalla nostra società, ossia dal
nostro destino, a partire ovviamente dalle nostre esperienze
particolari e dalle nostre realtà locali, sempre più omologate ad un
modello dominante. In tal senso, il pensiero
pasoliniano è una preziosissima fonte di
ispirazione ed un utile strumento di analisi e di
interpretazione dei processi di trasformazione in atto anche nelle
mia terra, l’Irpinia, negli ultimi 25
anni (25, infatti, sono gli anni trascorsi dal terribile evento
tellurico del 23 novembre 1980).
La straordinaria statura
morale, intellettuale ed umana di Pasolini,
è soprattutto quella di un geniale precursore del suo tempo, al
punto che il suo pensiero può risultare
“profetico”, ma è solo il frutto di una mente assai acuta e
profonda, capace di andare oltre il suo tempo, di andare oltre i
momenti e i comportamenti effimeri e transitori, di oltrepassare gli
aspetti superficiali e fenomenici, per carpire a fondo la vera
natura delle cose.
La validità di molte analisi
radicali e “corsare” di Pasolini
consiste nell’aver colto nel segno, molto prima di tanti altri, quei
cambiamenti sociali e culturali così profondi e drammatici della
realtà italiana, che all’epoca (ossia verso la metà degli anni ’70)
erano ancora ad un livello embrionale e non
erano ancora emersi chiaramente in superficie.
Già 30 anni fa
Pasolini aveva intuito in modo geniale
alcuni segnali di trasformazione di natura strutturale e
socio-economica, ma anche di carattere
antropologico-culturale, mutamenti che
all’epoca erano ancora in nuce, generati
dall’avvento e dall’espansione dell’economia capitalistica e
dall’imposizione di un’ideologia, quella
consumistico-borghese, che Pasolini
aveva riconosciuto come il nuovo, vero fascismo, anzi come il
peggiore dei fascismi e dei totalitarismi dell’epoca contemporanea.
A quanto
pare, non si sbagliava affatto...
Io, ad esempio, risiedo in
un piccolo centro dell’Irpinia, che
conta meno di 10 mila abitanti. Eppure,
mi sembra di stare in una metropoli dispersiva ed alienante. Come
mai?...
Probabilmente, il
catastrofico sisma del 23 novembre 1980 (che rase quasi interamente
al suolo il mio paese) e il successivo processo di ricostruzione
urbanistica e sociale, con l’immenso fiume di denaro piovuto
dall’alto, possono aver favorito, anche da noi, un’accelerazione
improvvisa di quei processi di mutazione antropologica e
di omologazione culturale e sociale di
massa che Pasolini seppe comprendere e
descrivere oltre 30 anni fa.
Infatti,
l’infausta data del 23/11/80 segna e costituisce per noi
irpini un vero e proprio spartiacque
storico e antropologico-culturale.
Ormai non c’è più alcuna
differenza tra gli stili di vita e di comportamento, totalmente
consumistici, degli individui che vivono in un piccolo paese delle
zone interne dell’Italia meridionale, e gli abitanti di un’estesa
metropoli come Roma, Milano, Torino, eccetera.
Invece, 25/30 anni fa il
divario era molto maggiore, direi quasi abissale; oggi si è ridotto
in modo colossale livellandosi verso il basso.
Il predominio assoluto, e
assolutistico, dell’economia di mercato, ha generato effetti
di alienazione e di omologazione
superiori a qualsiasi altra forma di dittatura o di sistema
totalitario, dal fascismo al nazismo, e via discorrendo. Ciò che in
Italia non era riuscito al regime fascista di
Mussolini durante un intero ventennio, è riuscito al modello
di produzione e di consumo neocapitalista nel giro di pochi lustri.
Ciò è accaduto anche da noi, in Irpinia,
una terra immobile ed immutata per secoli, stravolta e sconvolta in
poco tempo, soprattutto a partire dai
primi anni ’80, anche per effetto di accelerazioni causate
dall’evento sismico e dai processi economico-sociali innescati dalla
ricostruzione delle aree terremotate.
Lo “spaesamento”
del mio paese natale…
Oggi, il mio paese natale è
un luogo di vita alienante, sempre meno comunità
a misura d’uomo, e sempre più una realtà a misura di bottegai
affaristi e speculatori.
Certo, da noi convivono
vecchi e nuovi problemi, piaghe antiche e secolari, come il
clientelismo politico-elettorale, la camorra (in Calabria c’è la
‘ndrangheta, che si è recentemente manifestata in tutta la sua
barbarie) e nuove contraddizioni sociali quali, ad esempio, la
disoccupazione, le devianze giovanili, l’alienazione,
l’emarginazione sociale e la disperazione che sono effetti provocati
dalla modernizzazione puramente economica
e materiale di una società che è diventata ormai una società di
massa.
Purtroppo, già da diversi
anni, anche nelle nostre zone i giovani muoiono a causa
di overdose di eroina e fanno uso di
sostanze stupefacenti, oppure si schiantano in automobile il sabato
sera, dopo una serata trascorsa in discoteca, e via dicendo…
Persino il fenomeno
dell’emigrazione si è “aggiornato” e “modernizzato”, nel senso che
si ripropone in forme nuove e, forse,
anche più drammatiche e più gravi del passato.
Infatti, una volta gli
emigranti irpini, e meridionali in
genere, erano lavoratori analfabeti o semianalfabeti, oggi sono
in grandissima parte giovani con un
elevato grado di scolarizzazione.
Inoltre, mentre gli
emigranti del passato sovvenzionavano le loro famiglie rimaste nei
luoghi di origine, a cui speravano di
ricongiungersi il più presto possibile, i giovani di oggi che
emigrano verso il Nord lo fanno senza più la speranza, né
l’intenzione di far ritorno alla propria terra natale, anzi molto
spesso formano e crescono le loro famiglie altrove, laddove si sono
economicamente sistemati. Insomma, si tratta di
un’emigrazione di cervelli, ossia di giovani intellettuali sui quali
le nostre comunità hanno investito molte risorse per farli studiare.
Pertanto, questa è la più
grave perdita di ricchezze e di valori per le nostre zone!...
Quelle che un tempo erano
piccole comunità a misura d’uomo,
depositarie di una memoria storica secolare e dotate di un profonda
identità fondata soprattutto sulle tradizioni locali e
particolaristiche, oggi si sono disgregate e addirittura atomizzate,
avendo perso rapidamente la propria dimensione umanistica e
popolare, avendo smarrito la propria originale identità
socio-culturale, localistica e
dialettale, senza tuttavia assumerne una nuova, con inevitabili e
devastanti ripercussioni in termini di alienazione sociale e di
vuoto esistenziale.
La “modernizzazione”
del Sud come effetto della “post-modernizzazione” del Nord…
Sul piano strettamente
economico, quella
irpina non è più una società agraria, ma non è diventata
qualcosa di veramente nuovo e diverso, ovvero non si è trasformata
completamente, e spontaneamente, in un assetto industriale vero e
proprio, pur vantando antiche vocazioni artigianali e commerciali,
come quelle che animano le dinamiche e lo sviluppo, forse troppo
poco regolato e razionale, dell’economia del mio paese.
Oggi, a 25 anni di distanza
dal terremoto, la società irpina è
più o meno un “ibrido”, sia dal punto di
vista economico-materiale, sia sotto il profilo sociale e culturale.
Certo, occorre precisare che
sul versante propriamente economico-produttivo, la “modernizzazione”
delle nostre zone, che fino a pochi decenni fa
erano dominate da un tipo di economia agraria, latifondistica
e semi-feudale, è avvenuta in tempi rapidi e in modo convulso e
controverso. Ciò si è determinato all’interno di un processo di
“post-modernizzazione” del sistema capitalistico su scala
globale, ossia in una fase di
ristrutturazione tecnologica in chiave post-industriale, delle
economie neocapitalistiche più avanzate dell’occidente, con il
trasferimento di capitali e di macchinari ormai obsoleti in alcune
aree arretrate, depresse e sottosviluppate dal punto di vista
capitalistico-borghese come, ad esempio,
il nostro Meridione. Voglio puntualizzare che anch’io, come
Pasolini, credo nel progresso, ma non
nello sviluppo, soprattutto in questo tipo di
sviluppo selvaggio ed irrazionale che è generato dalla
globalizzazione economica neoliberista.
Una
speranza di palingenesi terrena, non ultraterrena...
Voglio
concludere la mia analisi condotta in pieno stile
pasoliniano, cioè in modo “corsaro”
e “provocatorio”, con il richiamo ad una speranza e ad una volontà
di palingenesi spirituale della mia terra, l’Irpinia,
a cui sono visceralmente legato,
nonostante tutto.
L’opera e le idee di
Pasolini erano disperate, ossia prive di
speranza, almeno in apparenza; in realtà erano pervase da un
profondo sentimento di religiosità, scevro tuttavia di qualsiasi
forma di moralismo o di fondamentalismo.
La religiosità pasoliniana era
indubbiamente laica.
D’altronde egli era un
intellettuale marxista e marxisticamente
ha cercato di analizzare e descrivere la realtà del suo tempo, con
coraggio, lucidità ed onestà morale ed intellettuale.
A mio parere, il compito
dell’intellettuale è certamente quello di provare ad interpretare e
a conoscere la realtà, ma è anche quello di tentare di migliorarla.
Insomma, bisogna comprendere
e spiegare il reale, l’essere, ma c’è ancora più bisogno di
comprendere e spiegare, dunque attuare, l’ideale, il dover-essere.
Ma, da solo, l’intellettuale è impotente, per
cui deve riferirsi e agganciarsi alle forze materiali e
sociali presenti e operanti nella realtà in un determinato momento
storico.
In tal senso, la speranza di
rinascita spirituale dell’umanità, a partire
dalla mia umanità, deve esplicarsi in un progetto di
trasformazione concreta, da proporre e promuovere politicamente,
ossia in sede terrena, non ultraterrena.
Si può e si deve cominciare
dal basso, dal piccolo, dal semplice, per arrivare in alto, per
pensare ed agire in grande, cambiando magari il mondo in cui
viviamo.
Io ci voglio provare
scrivendo queste cose. Almeno spero che servano a qualcuno e a
qualcosa!
Lucio
Garofalo |
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