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PEPPINO

di Luigi Ferrante

Quest’estate Peppino è stato rievocato con un Torneo: sono certo che a lui avrebbe fatto piacere. Peppino Palladino è stata la persona più attaccata al paese che si sia potuta  conoscere: l’amore verso Lacedonia e verso le persone che vi abitano, i riti e le consuetudini del paese, facevano parte della sua personalità.  Provava affetto verso tutti coloro che frequentava e non la faceva “passa a nessuno”. Le rare volte che non ricordavamo di chiamarlo nelle cene estive ci aspettava; con arguzia ce lo faceva notare, e, un po’ per finta,  se la prendeva. Ci teneva. Ci teneva che anche altri provassero per lui gli stessi sentimenti.

Quando eravamo adolescenti era un leader. Nessuno osava sfidarlo e quelle poche volte che ha usato il suo destro lo ha fatto con una velocità risolutiva e fulminante.

Io ho conosciuto Peppino nel collegio: cinque contro cinque, a turno uno di noi in porta.

Lui mai, sempre centravanti.

In terza categoria, allora faceva anche il militare, con la forza  dei suoi diciotto

anni, ha fatto  gol trascinandosi in rete anche gli avversari che cercavano di fermarlo con tutti i modi. Credo che il suo colpo migliore sia stato il gioco di testa; riusciva a dare forza e precisione alla palla con un movimento di spalla e di collo veloce, preciso e poderoso. Il gol della vittoria a Flumeri lo fece così.

Ultimo ad uscire anche dal campo dopo gli allenamenti, a provare tiri in porta, punizioni, rigori. Non ricordo mai che si sia vantato di come giocava, non si è mai incensato coi gol che ha fatto, non ha mai rivendicato ciò che ha dato per la squadra della Folgore ma non amava che qualcuno mettesse mai in dubbio le sue giocate.

Quando insieme ad altri amici per la prima volta arrivammo a Milano per lavoro, lui era lì in stazione ad aspettarci. Gia immaginava  il nostro umore e le nostre preoccupazioni; ci accolse con allegria e con ilarità;  poi ci accompagnò in ogni nostro spostamento, ci iniziò alla vita della città e pian piano ci  fece rendere conto canzonandoci della nostra nuova condizione di paesani nella metropoli del nord.

Ricordo i viaggi in treno a Milano, sotto le vacanze dei morti, con i treni stracolmi di gente. I viaggi da Milano, con l’assalto al treno in corsa all’arrivo in stazione.

Lo ricordo al Fatebenefratelli: che grinta, che forza.

Attaccato alla famiglia più di ogni altra cosa, nelle lunghe sere d’estate, giocavamo a far  tardi senza far  niente e parlando di  cose tra uomini, le più banali; bastava stare insieme, con gli amici, il più possibile. 

Abilissimo anche col tressette, sapeva le carte che tenevi in mano e come avresti giocato e scherzosamente anticipava le tue mosse.  Poi tutti insieme a bere qualcosa.

Nell’ultimo periodo era diventato un’abitudine ritrovarci sul tardi la sera d’estate o a natale; prima in pochi.

Poi sempre più numerosi, come ai vecchi tempi.

 

 
 

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Ultimo aggiornamento: 13-12-06