...Negli anni 1485-1487 Lacedonia fu teatro di un avvenimento al centro della politica italiana, che interessò papi e sovrani.* Ferrante d’Aragona aveva consolidato il suo dominio su Napoli e il Regno, ed aveva nominato vicario del regno suo figlio Alfonso, Duca di Calabria. La politica aragonese tendeva a soffocare i particolarismi che avevano contrassegnato la politica angioina ed a rafforzare l’autorità centrale; l'idea dello stato assoluto e centralizzato non garbava ai baroni, attaccati ai loro privilegi, alle loro autonomie, ostili alla pressione fiscale degli aragonesi. La situazione divenne più preoccupante quando fu eletto papa Innocenzo VIII, che, come primo atto del suo pontificato, pretese dai nuovi sovrani del regno di Napoli il pagamento del censo, da tempo in disuso. Inoltre, voleva profittare dell’antico malumore dei baroni contro gli Aragonesi per costituire una signoria personale per il suo figlio naturale Franceschetto Cibo. Il Conte di Sarno ed il Segretario del Re Antonello Petrucci, in odio ad Alfonso, Duca di Calabria, decisero di coinvolgere il Papa nei loro disegni. Alfonso reagì occupando il contado di Nola ed incarcerando la moglie e i figli del Conte di Nola. I Baroni tentarono anche un colpo di stato offrendo la corona a Federico fratello di Alfonso. Con Innocenzo VIII prendeva piede un nuovo guelfismo che si contrapponeva ai ghibellini aragonesi; le cose politiche italiane erano sempre più confuse, con interventi di Renzo il Magnifico da Firenze e di Ludovico il Moro da Milano. Queste manovre portarono il Papa ed il partito antiaragonese ad offrire vantaggi territoriali alla Repubblica di Venezia per averla alleata. La guerra d'Otranto contro i Turchi aveva impoverito maggiormente le risorse economiche del Duca di Calabria, e aveva generato conseguenti inasprimenti fiscali. I Baroni chiesero a Venezia di «chazar questi tiranni, levar da tutto il Regno cusì grave iugo er redur dicto regno a l'obedientia de la Sede apostolica». Il Conte di Sarno Francesco Coppola ed Antonello Petrucci soffiavano sul fuoco, e Alfonso fece imprigionare il governatore dell'Aquila e i figli del Duca d'Ascoli. Alla congiura intanto aderivano i più ragguardevoli patrizi del regno ed i più importanti personaggi dell'apparato statale, i Sanseverino, i Del Balzo, i Caracciolo, ed altri che avevano beni e feudi in Irpinia. Si dovevano celebrare le nozze della figlia di Guglielmo Sanseverino con Troiano Caracciolo, figlio del Duca di Melfi. A Melfi convennero molti Baroni, invitati alle nozze, per discutere«le condizioni dei tempi, in che avevano da sperare ed in che temere» (Porzio). Da Melfi partì un'ambasceria per il Papa, che intratteneva rapporti con l'ultimo degli angioini, Renato, perché rivendicasse il Regno che era stato dei suoi avi, di suo nonno, di suo padre, ora occupato dall'aragonese. I baroni, d'altro canto, non disdegnavano di chiamare i Turchi in Italia pur di abbattere gli Aragonesi. Fu solo la prudenza della Serenissima Repubblica di Venezia, timorosa di un rafforzamento del potere del Papa, ad evitare il conflitto imminente. Da Melfi i Baroni salirono a Lacedonia, luogo ritenuto al riparo da spie aragonesi e da interventi del Duca di Calabria, in cui Pirro del Balzo, che ne era feudatario, poteva garantire tranquilla ospitalità. La notte dell’11 Settembre 1486 i Baroni si radunarono nella chiesa di S.Antonio (che era al posto dell'attuale cattedrale) e, avendo nella mani l'ostia sacramentata, giurarono di farla finita con il re e con suo figlio Alfonso. Tra gli intervenuti c'erano Antonello Sanseverino principe di Salerno, Giovanni Caracciolo Duca di Melfi, Augilberto Duca di Nardò, il Conte di Sarno, Antonello Petrucci, ed altri Baroni di Principato Ultra. Un poeta dell'ottocento, il Chiaia, ha così ricordato la congiura: «Di Lacedonia ecco la roccia alpestre, là i ribelli a vendicare offese sull 'Ostia santa stesero le destre sperder giurando il seme aragonese». Ma Alfonso era vigile, la congiura fu scoperta, e la vendetta del Re fu terribile. Prendendo occasione dal matrimonio di una sua nipote, il Re riunì i Baroni nella sala grande di Castelnuovo splendidamente addobbata. Qui, annota Giannone, «l'allegrezza fu convertita in estremo lutto ed amaro pianto». E aggiunse: «il Re non volle farli morire da sé, ma destinò una Giunta acciocché ne fabbricasse il processo e li condannasse». I primi quattro furono uccisi in esecuzione della sentenza prefabbricata, altre uccisioni seguirono senza processo, i beni dei Baroni furono confiscati. Così finì la congiura dei Baroni e il signore di Lacedonia, Pirro del Balzo, perdette il feudo, gli averi e la vita. La chiesa di S.Antonio fu in seguito demolita. Dieci anni dopo Lacedonia passò in potere di Baldassarre Pappacoda... *Giovanni De Matteo, Viaggio In Irpinia Roma 1993 |