FERMENTI RIVOLUZIONARI
IN AMERICA LATINA E IN ALTRI CONTINENTI
Premetto che non ho nulla da
eccepire sulla sostanza dell'articolo di Gennaro Carotenuto
(intitolato "Uno spettro s'aggira per l'America: lo spettro del
socialismo del secolo XXI"), in particolare sulla tesi relativa
al carattere antiimperialista della "rivoluzione bolivariana"
(dal nome del celebre eroe nazionale venezuelano, Simon Bolivar),
conseguita e rafforzata con successo dal governo di Hugo Chavez
in Venezuela, che attualmente rappresenta il principale punto di
riferimento di un movimento populista di sinistra che si sta
espandendo in tutta l'America Latina, contagiando altre nazioni,
quali l'Argentina, il Brasile, la Colombia, la Bolivia, senza
dimenticare ovviamente la vecchia Cuba castrista, che avrebbe
ancora qualche prezioso ed utile insegnamento storico da
impartire alla sinistra europea ed internazionale.
Tuttavia, mi permetto di segnalare
altri avvenimenti ed altri processi storici in atto nel
continente latino-americano, e non solo in quel continente.
Penso, ad esempio, al recente
successo elettorale del fronte politico sandinista in Nicaragua,
guidato da Daniele Ortega, che fu già a suo tempo (nel corso
degli anni '80) Presidente della Repubblica socialista del
Nicaragua, insidiata ed aggredita per anni da una guerriglia di
destra filo-americana condotta dai famigerati Contras, veri e
propri mercenari, finanziati e caldeggiati militarmente e
politicamente dall'amministrazione yankee capeggiata dall'allora
presidente ultra-conservatore ed ultra-liberista, l'ex attore di
Hollywood Ronald Reagan. A tale proposito è utile ricordare che
la strategia controrivoluzionaria in Nicaragua fu diretta da
un noto agente della CIA, tal John Negroponte, già
ambasciatore statunitense in Honduras e in Messico, nel 2001
nominato dal presidente Bush quale ambasciatore degli Stati
Uniti presso le Nazioni Unite (!) ed attuale ambasciatore U.S.A.
in Iraq. Davvero una bella carriera di "intelligence"
diplomatico-eversiva al servizio dell'imperialismo
nord-americano. Lo stesso John Negroponte venne coinvolto in un
noto scandalo degli anni '80, denominato "Irangate" o "Iran-Contras",
da cui emerse chiaramente che i fondi occulti che la Casa Bianca
utilizzò per finanziare la guerriglia mercenaria dei Contras
furono attinti e ricavati dalla vendita di armi ad uno Stato
nemico, l'Iran dell'ayatollah Khomeyni, che figura ai primissimi
posti nella lista dei cosiddetti "Stati-canaglia" stilata dagli
ambienti neocons che ispirano ed influenzano l'attuale
amministrazione Bush. Ebbene, partendo dal Nicaragua sandinista e
dalla guerriglia dei Contras, passando per l'Iran,
giungendo fino all'odierna guerra in Iraq, sembra affiorare e
delinearsi una sorta di filo conduttore o di comune
denominatore, una trama politico-eversiva e strategico-imperialistica che
rinviene in John Negroponte una vera costante, ossia un
personaggio ed un protagonista "nero" ricorrente.
Ma torniamo al Nicaragua.
A riguardo vorrei sottolineare soprattutto l'originalità e
l'unicità dell'esperienza rivoluzionaria sandinista, in quanto
ispirata ed animata dalla "fusione" e da una felice
contaminazione ideologico-politica tra la cultura marxista e
la prassi politica comunista, da un lato e, dall'altro, la
"teologia della liberazione", ossia quell'espressione migliore,
più avanzata e radicale del dissenso cattolico che, a partire
dal 1968, in seguito al Concilio Vaticano II indetto dal
pontefice Giovanni XXIII, si diffuse rapidamente in vari paesi
dell'America Latina: si pensi, ad esempio, al Brasile, al Perù,
all'Honduras, al succitato Nicaragua, ma anche al Salvador,
laddove una cruenta e durissima
reazione politico-militare dell'imperialismo statunitense
arrestò e soffocò in un bagno di sangue l'insurrezione popolare.
Così come era accaduto in Cile, l'11 settembre 1973, quando la
reazione imperialista statunitense (ordinata dalla CIA, il vero
cervello e la vera guida strategico-politica dell'eversione
fascista e della destabilizzazione conservatrice a
livello internazionale) si scatenò in tutta la sua terribile
virulenza ai danni del popolo cileno e del governo socialista
presieduto da Salvador Allende, democraticamente
eletto, favorendo in tal modo un golpe militare di destra che
instaurò la feroce dittatura del generale Augusto Pinochet, attualmente
moribondo.
Oggi, a dispetto di quanti
sostengono da anni la tesi opposta, sembra che quella "miscela"
rivoluzionaria basata sull'incontro-confronto tra una versione
libertaria dell'ideologia marxista e un movimento cattolico
dissidente di contestazione antiliberista ed anticapitalista,
non abbia esaurito i suoi effetti e le sue potenzialità
emancipatrici e progressiste, visto il clamoroso risultato
politico-elettorale conseguito in Nicaragua dai sandinisti.
Spostandoci in Messico, non è
affatto superfluo evidenziare e precisare il carattere storico
rivoluzionario in sé, sia sul piano particolare e locale, degli
avvenimenti di Oaxaca, sia soprattutto per le implicazioni di
natura internazionalista che tali vicende possono comportare
e produrre nel quadro dei rapporti di forza politico-ideologici
ed economico-militari instaurati a livello planetario
dall'apparato bellico-industriale che fa capo al neoimperialismo
e al neocolonialismo made in U.S.A. & soci: penso soprattutto al
fedelissimo alleato britannico, ma penso anche all'emergente
"potenza neocolonialista" di matrice italica, dell'asse
governativo Berlus-Prodi, che "a sinistra" si
sorregge fondamentalmente sulla "stampella" politica dalemiana e
su quella bertinottiana.
Tuttavia, mi piacerebbe che si
facesse almeno una volta un accenno, anzi più di un accenno,
alla situazione politica nepalese, dove il partito comunista di
quel Paese, di ispirazione maoista, ha ormai issato la bandiera
del comunismo popolare sulla vetta dell'Everest.
Da anni in Nepal (anche nel
continente asiatico si agitano profondi fermenti rivoluzionari)
è in atto una vera lotta armata popolare, condotta dalle masse
contadine, che ha fatto compiere passi da gigante alla società
nepalese, costretta per secoli a sottostare ad un sistema
economico-produttivo di natura aristocratico-feudale o
semi-feudale, e ad un regime politico di tipo
dispotico-assolutistico.
Ebbene, in quel paese la
rivoluzione comunista maoista sta provocando effetti di
liberazione e di affrancamento materiale e politico-sociale di
massa, che erano impensabili fino a pochi anni or sono.
L'emancipazione in corso delle
classi popolari e rurali nepalesi è, a mio avviso, uno dei
processi e degli avvenimenti storici internazionali più
rilevanti e significativi degli ultimi tempi, per cui
meriterebbero una maggiore attenzione e considerazione da parte
dei mass-media occidentali ed internazionali, e in modo
particolare da parte dei siti on-line di controinformazione
presenti su Internet.
Come mai non si parla affatto
della rivoluzione nepalese, tranne rarissime eccezioni, mentre
si esaltano fin troppo altre vicende ed esperienze politiche più
o meno rivoluzionarie, quali appunto la "rivoluzione bolivariana"
guidata dal governo venezuelano di Hugo Rafael Chavez Frias?
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