FALLIMENTO PER LA BULLONERIA
MERIDIONALE
Fino a tre anni or sono
la società denominata “Bullonerie Meridionali”, uno dei cui stabilimenti
si trova nell’area industriale del Calaggio, in agro di Lacedonia, era
considerata in ottima salute e nulla lasciava presagire un epilogo
disastroso, che getta sul lastrico ben 160 famiglie.
Per l’economia
complessiva del nostro paese e dell’intera zona si tratta di un colpo
durissimo. Poco prima di Natale, infatti, il Tribunale di Sant’Angelo dei
Lombardi ha dichiarato il fallimento della società capeggiata dagli
imprenditori Langè, venuti dal nord nel
periodo post-terremoto, per godere, come tutti gli industriali presenti al
Calaggio, dei finanziamenti
statali.
C’è da dire che per
lunghi anni tale famiglia ha assicurato introiti dignitosi e puntuali ai
lavoratori cominciando, però, a perdere colpi subito dopo la crisi globale
scatenata dall’attentato dell’11 settembre alle torri gemelle di New York.
Successivamente, i Langè, decisero di aprire un altro stabilimento in Campania, nella
fattispecie quello di Roccabascerana.
Frammentarono, in tal
modo, un’azienda solida nella sua unicità, dividendola in due tronconi
claudicanti. E questo è il risultato: hanno perso tutto (almeno
all’apparenza). Nel marasma italiano gli unici a non fallire, spesso, sono
proprio gli imprenditori “falliti”: chi ci rimette realmente sono i
piccoli investitori (vedi Parmalat), accanto alle maestranze che non
possono più garantire la sopravvivenza alle rispettive famiglie. Queste le
problematiche scatenate da ogni operazione fallimentare.
Del resto eventi di tal fatta sono soltanto l’epilogo di scelte sbagliate
(spesso effettuate in maniera non del tutto colposa) dai politici che
contavano all’epoca della “ricostruzione”: è noto che essa fu gestita,
sotto il profilo industriale, dall’ex ministro Scotti.
A fronte di aziende che ancora
resistono ai contraccolpi del mercato globale (poche purtroppo), molte
altre, succhiato il latte nelle mammelle statali, hanno
voltato la prua verso lidi più caldi ed accoglienti, “fregandosene”
bellamente della lunga scia di disoccupazione, speranza delusa e
frustrazione che si sono lasciati alle spalle.
Speriamo, nell’interesse globale della nostra comunità, che il curatore
fallimentare non pensi di “curare” la questione per tempi biblici, ma che
quanto prima si attivi per garantire soluzioni soddisfacenti che riportino
lavoro e prosperità nelle case degli operai, da un canto, e di riflesso
nel nostro paese, che è “casa comune”.
Chi scrive non ha alcuna difficoltà ad affermare che ogni lavoratore
costretto a fare i bagagli per tentare la fortuna in altri luoghi è una
denuncia vivente dello stato di declino della società nel suo complesso:
quando un’azienda fallisce il fallimento è a carico dell’intera società!
Michele Miscia
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