Brevi
note per la presentazione del volume
“LACEDONIA
DAL MEDIOEVO AL XX SECOLO”
Autore
Carmine Ziccardi
Pubblicato
dall’Associazione Culturale Lacedonia
Presentazione
del Professore
Enzo
Di Gironimo, dirigente scolastico Istituti Superiori Napoli
Sono
veramente lieto di essere, questa sera, in mezzo a voi, lacedoniese tra
lacedoniesi, per presentare l'ultimo lavoro di Carmine Ziccardi sulla
Storia di Lacedonia dal Medioevo al XX secolo. Lacedonia è per noi un
luogo dell'anima, un rifugio ideale in cui trovare scampo nei momenti di
crisi nelle temperie della vita. Conoscere le proprie origini, mantenere
salde le proprie tradizioni è un modo per sentirsi uniti è rafforzare
quel senso di appartenenza che è uno dei valori fondamentali della
comunità sociale.
Il
testo che questa sera viene presentato ha lo scopo di aiutarci a conoscere
alcuni aspetti poco noti della nostra storia dal Medioevo fino alle
soglie, del XX secolo.
Presenta
documenti inediti, scovati negli archivi di stato, delle abbazie, della
diocesi e in quelli segreti del Vaticano, documenti che riguardano fatti
ed eventi non trattati da altri studiosi per la difficoltà di reperire
fonti a cui riferirsi.
Ci
ha dimostrato così che queste fonti esistono e che possono essere
rinvenute lavorando con passione, sacrificio anche economico, umiltà,
competenza e tanta, tanta pazienza. Vuole essere così di stimolo, di
"sveglia” per i giovani ricercatori (e ce ne sono di validi e
capaci), per rinnovare e approfondire studi sulle nostre sfortunate e
spesso neglette zone. E questo, a mio parere, è il merito principale del
lavoro di cui stiamo parlando.
Si
parte dal Medioevo, quindi. Un periodo lungo, difficile, che vede crollare
dolorosamente e rovinosamente una civiltà, quella romana, ma che vede
anche germogliarne una nuova, quella europea, con la "fusione"
dell'elemento latino con quello germanico nello spirito del Cristianesimo
ormai trionfante.
Prima
di addentrarci sulle vicende narrate nel testo, ritengo però opportuno
delineare brevemente la storia di Lacedonia nel cosiddetto evo antico.
Il
primo nostro storico fu Pasquale Palmese, (1801 - 1882) "canonico
cantore della Chiesa cattedrale e cancelliere della curia vescovile"
(così come egli stesso amava definirsi), autore del testo pubblicato a
Napoli nel 1876, sintesi di un voluminoso manoscritto conservato presso la
biblioteca del Seminario vescovile e ripubblicato a Salerno nel 1924 con
il titolo "Notizie storiche- cronologiche di Lacedonia".
Le
sue fonti sono essenzialmente letterarie ed archeologiche: Livio, Plinio,
Tolomeo, Ughellio ed altri autori e reperti rinvenuti o personalmente da
lui o di cui ha avuto notizie.
Ha
rappresentato il punto di riferimento (sia di accettazione di quello che
scrive o in polemica e contraddizione) per tutte le altre numerose
pubblicazione avute poi nel corso di questi ultimi decenni come quelle -
ne cito semplicemente alcune- a cura del Circolo Culturale "T.
Arminio", di Saponiero, Caggiano, Vigorita, Chicone, Michele D'Avino,
Bardaro, Pepe. L'ultima, di cui ho notizia, è la pregevole e documentata
opera di Nicola Fierro "Aquílonia in Hirpinis"- che
riguarda Lacedonia in età Sannitica e romana, pubblicata, questa estate,
a cura dei Gruppo Archeologico AKUDUMNIA, diretto dal giovane scrittore
Michele Miscia.
Altre
fonti sono il MOMMSEN - che nel IX volume del Corpus Inscriptionum
Latinarum esamina e descrive alcune epigrafi di epoca romana rinvenute
a Lacedonia e nel circondario, Camillo Porzio per quanto riguarda la
Congiura dei Baroni del 1486 e Pacichelli G.B. autore de "Il Regno di
Napoli in prospettiva” del 1703.
Una prima domanda: quando viene fondata Lacedonia?
Le
origini sono avvolte nella leggenda. Palmese ne discute a lungo: molto
probabilmente è di origine Osca, più precisamente sannita, nella
determinazione irpina.
Gli
Osci appartenevano (come gli Umbri, gli Etruschi) a quelle popolazioni
"italiche" che popolarono la nostra penisola intorno al primo
millennio a.C.. Popolo di pastori che durante le migrazioni dovute alla
ricerca di pascoli migliori si insediavano nei punti che ritenevano più
strategici, fondando villaggi. Quando aumentavano di numero in modo
eccessivo, ricorrevano al rito del "Ver Sacrum": un anno
veniva proclamato sacro e tutti quelli che vi nascevano, una volta
raggiunta la maggiore età , venivano espulsi dalla comunità e costretti
quindi a ricercare nuove terre e fondare nuovi villaggi. Ecco, i nostri
paesi potrebbero essere nati così.
Nelle
nostre zone questi giovani sanniti sarebbero arrivati tra il VI - V sec.
a. C.. I primi insediamenti potrebbero essere stati nelle grotte scavate
nel tufo," sotto le rupi”, per intenderci. Lacedonia, come
sappiamo, sorge su un banco tufaceo, determinato da una nube ardente (ignimbrite)
dovuta ad eruzione vulcanica, del Vulture, probabilmente. Il suo primo
nome (e questo è ormai certo) è "AKUDUINNIAD", o Akudunnia -
senza la "d" finale- così come risulta da alcune monete bronzeo
che recano, sotto l'effigie di Atena, la scritta "coniate in
Akudunnia”. Se aveva la possibilità di battere moneta, vuol dire che
era una cittadina importante, fortificata, con un esercito proprio.
Da
Akudunnia, come sostiene il D'Avino nel testo "Akudunnia, oggi
Lacedonia degli Irpini”, attraverso passaggi successivi, Aquudonnia,
Aquiddonia, Aquilonnia, si pervenne al nome Aquilonia, con cui fu
conosciuta durante il periodo della romanità, come attesta anche il
Mommsen, citando Plinio e Tolomeo.
Come
poi si sia passati da Aquilonia a Lacedonia è lo stesso D'Avino a
prospettarcelo. La variazione avviene nella "parlata locale",
nel dialetto, direttamente dalla trasformazione dell'originale Akudunnia,
con Cidogna, Cedogna ("Cerogna" nel nostro dialetto), La Cedogna,
Lacedogna ( una sola parola), e infine Lacedonia.
Il
primo stemma, comune a molte popolazioni transumanti di origine sannitic
- írpina, fu la testa di Toro sormontata da due stelle; successivamente
l'aquila bicipite ( in abbinamento al nome Aquilonia ) fino al Medioevo,
poi quello attuale, la Cicogna con un serpente nel becco. Sarebbe
interessante, e non solo per il fatto in sé, studiare come siano avvenute
queste trasformazioni araldiche.
Le
vicende di Aquilonia sono strettamente legate a quelle riguardanti le
guerre sannitiche, che si trascinarono per vari decenni fino a
concludersi, con la vittoria di Roma, nella famosa battaglia di Aquilonia
del 293 a.C. di cui Livio parla a lungo nel X libro delle sue Storie.
Ma
qui è sorta una polemica tra gli storici: l'Aquilonia di cui parla Livio
è l'Aquilonia degli Irpini, cioè la nostra Lacedonia, o è un'altra da
collocare nel Sannio più interno?
(Vedete
come è difficile fare storia quando mancano documenti certi e si lavora
su interpretazioni). Pur partendo dalle stesse fonti gli storici hanno
espresso tesi diverse, spesso contraddittorie. L'ultima, in ordine di
tempo, è quella del valente studioso bisaccese prof. Nicola Fierro,
ispettore onorario della soprintendenza alle antichità archeologiche. Nel
testo già citato "Aquilonia ín Hirpínis”, l'autore
individua proprio nel territorio della nostra Aquilonia - Lacedonia, e
precisamente nell'arca del Calaggio, il luogo della battaglia finale del
293 tra la legione linteata dei Sanniti e le legioni romane, risultate poi
vincitrici. "In quel momento - dice Fierro - Aquilonia fungeva da
capitale del Sannio libero... Le monete bronzee con l'effigie di Atena e
con la dicitura
Akudunnia - citate anche dal Devoto - potrebbero essere proprio di questo
periodo".
Dopo
la sconfitta, dovuta anche all'alta strategia militare dei comandanti
romani (sul campo rimasero uccisi ben 24340 combattenti e ne furono fatti
prigionieri 3870), Aquilonia veniva incendiata e distrutta e la
popolazione costretta a fuggire per il Pauroso, a cercare scampo nei
boschi fin nei pressi di Montella. Stessa sorte toccava a Cominio,
l'attuale Monteverde.
Con
la romanizzazione Aquilonia lentamente si riprendeva. Nulla di certo si sa
sulle vicende legate alle guerre contro Annibale. Palmese sostiene che
Aquilonia, con altre cittadine del Sannio irpino, avesse parteggiato per
Annibale per vendicarsi della sconfitta subita. Questa tesi non sempre è
accettata da altri studiosi. Di certo si sa che nel 90 Aquilonía aveva già
ottenuto, come altre cittadine italiche, la cittadinanza romana e veniva
retta da un quadrunvirato. Riacquistata importanza, annoverava terme e
monumenti notevoli (come attestato dalle lapidi , descritte dal Mommsen) e
da altri reperti trovati dal già citato gruppo archeologico e studiati da
Fierro (gli ultimi ritrovamento, proprio di questi giorni, a Serrone, sono
stati un cippo in onore di Ercole vincitore ed un altro, funerario, con
invocazione agli Dei Mani). Si annoverava, in città, anche un tempio
dedicato alla dea Iside", facendo ipotizzare - a questo studioso- o
la presenza in città di un gruppo etnico di origine egizia o che la
borghesia locale faceva affari d'oro con i mercanti egiziani che
praticavano il commercio lungo la via Appia".
Sulle
rovine di questo tempio è stata poi edificata la chiesa di S. Maria la
Cancellata., come vuole la tradizione, attestata, come pare, dai numerosi
reperti trovati durante i restauri alla struttura della chiesa. La storia
di Aquilonia - Lacedonia ormai era legata alle vicende di Roma.
Palmese,
citando I' Ughellio e la sua "Italia sacra" e Tolomeo, ipotizza
che Aquilonia, con Abellinum Aeculanum e Fratuentum, avesse abbracciato la
fede cristiana, sin dai tempi della predicazione di S. Pietro, e che già
intorno al 400 d.C. fosse sede vescovile. Ipotesi per un canonico
suggestiva, molto probabilmente valida, non suffragata, però, da
documenti certi.
Con
la caduta dell'Impero e con le prime invasioni barbariche anche per
Aquilonia- Lacedonia incominciarono i tempi tristi. Addio antichi fasti,
addio prestigio. Anche gli storici sembrano fermarsi oppure affrettano la
loro narrazione.
Il
Palmese, invece, ... accelera e riduce in poche pagine oltre mille anni di
storia. Altre pubblicazioni fanno altrettanto e corrono subito al 1486,
alla Congiura dei Baroni. Non hanno a disposizione archivi da consultare,
né reperti archeologico sepolti o distrutti per terribili terremoti. Si
ha memoria storica del sisma del 989 e soprattutto di quello disastroso
della notte tra il 4 e 5 dicembre 1456. Lacedonia fu rasa al suolo. Per
ricostruirla, come già per il passato, si fece ricorso al materiale
esistente in loco. E così i pezzi degli antichi templi, i marmi delle
terme, dei palazzi le pietre tombali, i mosaici scalpellati, spezzati,
adattati diventavano soglie, architravi, spigoli, riempitivi (come i
frammenti di mosaico ritrovati tra le intercapedini delle mura di S. Maria)
per ricostruire nuove ma modestissime case, segni della miseria dei tempi.
E
proprio da questi tempi tristi dell'Alto Medioevo inizia questo libro .
Carmine Ziccardi, come tutti ormai sapete, è archivista di professione,
anzi è il direttore amministrativo dell'archivio di Stato dì Pavia.
Poteva mettere il naso dappertutto anche nelle carte segrete del Vaticano
e lo ha fatto con passione, con spirito critico, ovviamente con
competenza, e ha ricavato notizie non soltanto su eventi bellici che
riguardavano i "Signori”, i Principi, i Baroni, ma sulle condizioni
di vita dei veri protagonisti della storia: le persone comuni, gli umili,
i sudditi. E lo ha fatto, pubblicandole in varie riviste specializzate, in
articoli in questo testo riuniti e raccolti.
Questi
lavori, pur essendo redatti in tempi diversi, mostrano - come ho scritto
nella presentazione - una linea di continuità di ispirazione braudeliana.
Riguardano, infatti oltre alla necessaria narrazione degli eventi più
importanti i movimenti demografici, le tasse, i matrimoni i mestieri i
mezzi di trasporto e di comunicazione che ci fanno capire come vive un
popolo, come questo si evolve nei tempi.
Se
avessero voluto fare altrettanto gli studiosi che si sono occupati delle
vicende dell'età antica, non avendo tra le mani documenti specifici,
avrebbero dovuto fare ricostruzioni basandosi in generale, sulla vita
degli antichi romani e delle popolazioni italiche, ricavando informazioni
dalla letteratura, dall'arte, dall'archeologia, perché di specifico sulle
nostre zone e su Lacedonia non vi è nulla. Anche io, pertanto, mi sono
limitato a raccontarvi, come introduzione, eventi salienti di natura
essenzialmente bellico- politica. E veniamo al testo.
Siamo
intorno al 500 d.C. La civiltà romana è profondamente in crisi. I
Barbari scorrazzano nella nostra penisola: incendiano, depredano,
uccidono. Le popolazioni terrorizzate fuggono dalle campagne, spesso
distruggendo strade e ponti per rallentare le invasioni. Inutilmente!
Guardiamo che succede a Conza, dice Ziccardi prendendola come punto di
riferimento per illustrare la situazione alta-irpina.
L'antica
famosa Compsa, posta in posizione strategica, 15° provincia ecclesiastica
della cristianità, archidiocesi che aveva come suffraganee tutte le
diocesi dell'alta Irpinia, (da Lacedonia a S. Angelo, a Nusco, a Muro
Lucano ... ) viene assaltata e occupata dai Goti nel 524 circa, dai
Bizantini nel 555, dai Longobardi nel 591. Immaginiamo con quanta gioia di
quella popolazione depredata e vessata ogni volta da nuovi padroni.
Eppure, con i Longobardi riesce a riprendersi tanto da essere scelta come
capoluogo di un cospicuo gastaldato. Ma orinai si vive di stenti e di
miseria. Stessa sorte subisce Aquilonia - Lacedonia che ritroviamo facente
parte della contea di Benevento (Oggi Conza
- commenta amaramente Ziccardi - non esiste quasi più. Distrutta
dal sisma del 1980, è stata ricostruita lontana dal sito originario.
Dell'antica importanza non resta che il ricordo, dell'Arcidiocesi soltanto
il nome).
La
storia di Lacedonia, come quella di Conza, è da questo momento
soprattutto storia della sua diocesi. Per gli studiosi è una fortuna;
d'ora in poi la ritroviamo, così, nelle fonti ecclesiastiche, le uniche
esistenti. Infatti, nel periodo in cui - come dice il Desideri - infuriava
la tempesta barbarica e in mezzo ai disordini, alle violenze, alle stragi
crollavano tutte le civili istituzioni, proprio intorno ai monasteri
benedettini sorti anche da noi come illustra Ziccardi a pag, 15,
incomincia a sorgere il modello di una nuova società non più fondata
sulla violenza e la conquista, ma sull'amore e sulla solidarietà
collettiva un nuovo tipo di società e una nuova concezione della vita che
aveva il suo fondamento nel cristianesimo evangelico.
E
proprio intorno ai monasteri - scrive il Morghen - veniva a ricomporsi in
nuclei vitali la società sconvolta dalle invasioni barbariche; i
contadini andarono a raggrupparsi in cerca di protezione e dietro
l'esempio dei monaci presero a dissodare le terre incolte e a ripopolarle,
facendo risorgere la coltura della vite e quella dell'ulivo da tempo
abbandonate. I monaci tra l'altro, erano gli unici, e non tutti
ovviamente, che avevano una certa cultura, per cui diventarono il punto di
riferimento anche per dirimere questioni di ordine legale. I registri dei
battezzati, cresimati dei matrimoni e dei defunti, ad es., sono stati per
secoli (almeno fino alle riforme napoleoniche, murattiane da noi – 1815
/ 20 circa) gli unici registri anagrafici. Quindi, anche da noi intorno al
monastero di S. Salvatore situato vicino alla cattedrale, risorge la vita,
un po’ meno misera meno povera.
Sconfitti
i Longobardi, Lacedonia passa sotto i Normanni (Nel 1059 è Vescovo
Simeone. Lo troviamo registrato tra i Vescovi partecipanti coi Papa Niccolò
Il al Concilio di Melfi e alla consacrazione della Chiesa di S. Michele a
Monticchio). Passa poi sotto gli Svevi e gli Angioini. Le vicende narrate
da pag. 16 a pag. 22 sono ben documentate (i testi sono riportati nelle
note in lingua originale).
E
passiamo ai paragrafi, per me più interessanti dei primo capitolo:
"Fuochi e tasse di Lacedonia e dintorni", "Vicende
demografiche e controversie feudali”.
Sono
importanti perché ci fanno capire le reali condizioni di vita della
nostra popolazione.
La
nostra gente, dicevo prima, è passata dalla dominazione normanna, a
quella sveva di Federico Il che amava queste terre e a Melfi, già eletta
dagli Altavilla capitale dei propri possedimenti in Puglia, promulgò nel
1231 le Constitutioni melfitane che, se attuate , avrebbero
trasformato il Regno di Sicilia da stato feudale, cioè non-stato, a stato
moderno, razionale, efficiente, con due secoli di anticipo sulla storia
europea.
I
Lacedoniesi come le altre popolazioni irpine e del l'intero regno, vedono
migliorate, sempre nel quadro generale dell'indigenza e della miseria, le
proprie condizioni di vita, partecipando alla cosiddetta Rinascita intorno
all'anno Mille. Erano state apportate, infatti delle innovazioni nel campo
dell'agricoltura: piccole cose che hanno fatto la storia !
L'introduzione
dell'uso del collare a spalla per cavalli e muli invece della cinghia
sottogola che impediva la piena respirazione, la ferratura degli zoccoli,
avevano aumentato la capacità di tiro degli animali, per cui si poté
passare dall'aratro a chiodo a quello a vomero con le ruote. Arando più
profondamente, le sementi non andavano perdute. La rotazione agricola, per
cui si passò dall'avvicendamento biennale a quello triennale con
l'introduzione di nuove colture per la fienagione, sperimentate dai monaci
portò all'aumento notevole della produzione delle derrate alimentari. Si
poteva mangiare di più e quindi si poteva vivere meglio. E la popolazione
aumentò anche nei nostri villaggi ( delle città che furono forse si
conservava qualche vago ricordo).
Ma
arrivarono gli Angioini e aumentarono le tasse! Più famiglie (dette
fuochi) - come si precisa nel glossario a pag. 188 - più soldati da
fornire al Re e se non si vuol fare il soldato più tasse da pagare. E le
povere comunità (o universitas) tentavano di imbrogliare le carte
("re fa fesso l'esattore") riducendo il numero dei fuochi. Ma
questi se ne accorse e arrivò la multa. Lacedonia, leggiamo a pag. 24, fu
costretta a pagare altre 8 once e sette tarì e mezzo. Ma siccome le
comunità, sempre più vessate e affamate non perdono il vizio, arrivano
altre mazzate. La Corte ingrassa e si diverte, fa le guerre e la povera
gente paga, diventando sempre più povera!
Dalla
lettura di questi paragrafi, apprendiamo inoltre come funzionava il
sistema amministrativo feudale del Regno di Sicilia diverso da quello di
stile carolingio del resto d'Italia, d'altra parte già tramontato per far
posto ai liberi Comuni. Qui notiamo l'intervento diretto del Re a favore
delle comunità di Lacedonia e Monteverde: i feudatari non sono i padroni
assoluti ma debbono dar conto delle loro azioni alla Corte che può
disporre sempre dei benefici e dei territori concessi; stesso trattamento
per gli Abati e i Vescovi.
Apprendiamo
anche che fine abbiano fatto gli archivi del periodo angioino: perduti per
ignoranza, incuria, guerre (pag.28).
Dopo
gli Angioini ecco gli Aragonesi. Lacedonia passa da un Signore
all’altro. E le vicende sono ben documentate:
la
"Congiura dei Baroni, del1486, contro Ferrante (succeduto al padre
nel 1458), uomo duro e senza scrupoli che si fece odiare da tutti, le
controversie economi - giuridiche intentate alla fine del medioevo, nei
confronti dei vari baroni, per questioni di possedimenti di tasse, di usi
civici e in modo particolare contro il principe di Melfi, i cui esiti si
trascinarono fino alle soglie dell'età contemporanea, con l'eversione
delle feudalità.
Ziccardi
è opportuno precisarlo, di questo lungo periodo ci ha dato le notizie
inedite, tratte - come dicevo - da fonti di archivio - sorvolando
volutamente su quanto già narrato su altre pubblicazioni, tipo il
terremoto disastroso del 1456, (quando la gente fu costretta a ritornare
ad abitare nelle grotte, sotto le rupi prima della ricostruzione
incoraggiata ed aiutata dagli Orsini, feudatari del momento, fatta
proprio, per maggiore sicurezza sul banco tufaceo ( situato più a monte
dell'antico abitato ), su cui ancora oggi sorge la "cittadella'. Ecco
perché la vecchia Cattedrale (S. Maria la Cancellata) venne a trovarsi
fuori città; la costruzione del nuovo castello nel 1508 con i Pappagoda,
l'avvicendarsi dei vescovi. Il suo merito, voglio ripeterlo, è proprio
quello di scovare nelle fonti archivistiche quanto finora sconosciuto
specialmente nei periodi cosiddetti bui rimandando e lo dice
esplicitamente nelle note ad altre pubblicazioni la ricerca e
l'ampliamento di notizie già note. Ed io sto facendo altrettanto. Mi sono
soffermato maggiormente su aspetti poco noti e discussi mentre sto
sorvolando su quelli noti o accettati da tutti. Dei Vescovi ad esempio,
grazie al Palmese, canonico della Cattedrale, sapevamo molto, mentre delle
istituzioni laiche non si sapeva quasi nulla . Ecco, qui è intervenuto
Ziccardi con le sue ricerche di Archivio. Lo studioso, ora, trova
ulteriori spunti per continuare a ricercare, ad approfondire.
Nel
secondo capitolo, " la Diocesi di Macedonia” nel '600, Ziccardi
prende in esame le "Relazioni ad limina apostolorum" presentate
dal Vescovo Bruni dal 1631 al 1634 perché offrono un'abbondanza di
notizie sui luoghi pii, sulla popolazione, sulle chiese, sui beni
ecclesiastici sul clero e sulla vita religiosa, sulle confraternite, sui
benefici, sui consumi del popolo e sui monasteri e costituiscono una fonte
dalla quale si traggono moltissimi dati importanti. Apprendiamo ad es. che
rispetto agli abitanti, 1200 circa, vi sia un elevato numero di canonici,
ben dodici che hanno un'entrata di 70 ducati l'anno. Non è una gran
cifra, comunque di molto superiore a quella di un povero contadino. Si può
ben capire come fare il prete, il più delle volte, non era frutto di
vocazione religiosa, ma un modo per assicurare una vita meno grama a se
stesso e ai propri familiari, oltre che una questione di prestigio
sociale. Alle alte cariche, nell'ambito del Capitolo, accedevano i
rappresentanti di
quella borghesia terriera che si stava lentamente costituendo. Si spiega
così l'ignoranza di alcuni di essi e la moralità non certo
irreprensibile (solo più tardi sorsero i Seminari per la preparazione dei
Sacerdoti). Le relazioni mettono bene in luce tutto ciò e soprattutto
l'estrema degrado morale ed economico in cui versano i fedeli. Ed in
queste situazioni anche il possesso di una "stanza " -piccolo
appezzamento di terreno- diventa oggetto di liti tra la comunità e il
Vescovo. Questi ad es. sostiene che è necessario aumentare le multe per
evitare di sentir maledire e bestemmiare in chiesa. La religiosità,
quindi è più esteriore che sentita se il Vescovo Pedoca, uomo di grande
cultura e noto matematico, appena insediato in Diocesi, attuò una serie
di iniziative miranti a rinsaldare la fede; a ricordo di queste fece
sistemare, nel 1587, all’ingresso della città quella colonna di
travertino sormontata da una croce, che vediamo ancora oggi prima di
imboccare la “tagliata”.
Questo
capitolo – dicevo – va ad interarsi perfettamente con quanto scritto
nell’ottimo lavoro “La Diocesi di macedonia nell’Età moderna” dal
giovane compianto storico Giovanni Libertazzi di Rocchetta S.A.
Altro
capitolo interessante è il terzo: "La platea del feudo di
Lacedonia" - pubblicato la prima volta su VICUM nel '92.
Dopo
una necessaria ed istruttiva introduzione sulla particolare istituzione
feudale delle nostre terre tra '600 e '700, si passa ad esaminare la
situazione dei feudo di Lacedonia, attraverso una ricerca minuziosa dei
documenti esistenti in proposito, verso la fine del 1700. Risulta subito
evidente che l'intero territorio apparteneva, oltre che al feudatario di
turno, a poche famiglie benestanti o di piccoli proprietari da cui
dipendevano poi altri contadini, coloni, braccianti. Molti cognomi sono
presenti ancora oggi, altri sono ormai scomparsi.
Dal
1559 ( Pace di Cateau - Cambresis) il Regno di Napoli è sotto il
dominio spagnolo che durerà fino al 1713. Dopo una breve parentesi
austriaca, arrivano i Borboni. Non mancano in questi periodi episodi
banditeschi. Nel 1682,- scrive Libertazzi - ad es., l'intero paese fu
preso d'assalto e saccheggiato da una banda di 80 uomini - capeggiata da
Giovanni Botta, l'albanese, che sequestrò a scopo di ricatto il Vescovo
Bartoli e alcuni cittadini meno poveri terrorizzando la popolazione che fu
costretta a fuggire. Qualche decennio dopo, lo leggiamo nella cronologia a
pag.185, nel 1696 il Vescovo La Morea pose la prima pietra della nuova
cattedrale, completata nel 1766 e inaugurata il 19 ottobre dal Vescovo
Niccolò D'Amato. La Chiesa di S. Antonio, posta al centro della città e
che fungeva da cattedrale durante il periodo invernale, era stata
notevolmente danneggiata, come gran parte delle case, dal terremoto dell'8
settembre 1694.
Cambiano,
nel frattempo i feudatari, non cambiano molto le condizioni di vita dei
popolo. Anzi l'aumento demografico accentua il disagio per cui per vivere
si sfrutta ogni spazio utile. L'eversione della feudalità, tra il 1808 e
il 1810, porta qualche beneficio, soprattutto tra i piccoli proprietari
terrieri, che vanno a costituire la nascente, modesta borghesia locale. La
spedizione garibaldina e il passaggio dalla monarchia borbonica a quella
sabauda non crea ribellioni e rivolte sociali come quella, drammatica,
dell'ottobre 1860 nella vicina Carbonara, ma il coinvolgimento diretto di
Lacedonia e di vicini paesi nell'ancora oggi discusso fenomeno del
brigantaggio. (Ma di questo parleremo tra poco).
Nel
1878 c'è, finalmente, un evento lieto ed importante per la storia, anche
personale, di gran parte di noi: Francesco De Sanctis fonda la Scuola
Normale dell'Alta Irpinia, l'attuale Istituto Magistrale.
E
andiamo ai cap. IV (La Diocesi di Lacedonía " '800 e '900 nella
relazione del Vescovo Zimarino) e V (La società e l'istruzione a
Lacedonia all'inizio del '900 dai registri matrimoniali). Questi
capitoli sono strettamente collegati dalla stessa linea interpretativa,
anche se pubblicati in anni e riviste diverse. Ci fanno conoscere, dati
alla mano, la situazione storico sociale che ha determinato quegli
atteggiamenti culturale, quei fermenti politico- sociali e soprattutto le
grandi emigrazioni che hanno caratterizzato le vicende del mezzogiorno e
dei nostro paese in particolare, specialmente nella seconda metà del
‘900.
Il
quarto capitolo è stato pubblicato nel ’91 su “Rassegna storica
irpina” e contiene le due Relations ad limina del nov. 1898 e del
nov. 1903 del Vescovo Zimarino, che aveva assunto la guida della diocesi
nel 1896.
Tiro
fuori qualche notizia.
La
Diocesi conta nel '98 dieci paesi: Lacedonia, Trevico, Carife, Castel
Baronia, S. Nicola Baronia, S. Flumeri, Anzano, Rocchetta S. Antonio e
Scampitella con circa 27.000 abitanti ed undici parrocchie, nel '93 sale a
28.000. Il Vescovo descrive accuratamente lo stato in cui si trovano le
chiese, misero in verità, e ci dice anche che in alcuni paesi si sono
costituiti dei Monti di pietà frumentari, amministrato dai parroci e da
laici anziani con lo scopo di distribuire ai contadini poveri il grano con
un interesse minimo. Scrive pure che qualche sacerdote era stato sospeso "a
divinis" per "i loro disordinati costumi". A Lacedonia
funziona un asilo infantile, che assiste ben 150 bambini, affidato alle
Suore figlie di S. Anna e che svolge "un'opera provvidenziale per i
figli dei contadini i quali sono continuamente, impegnati nel lavoro dei
campi". Il seminario, oltre al ginnasio, conta anche un corso
superiore di Teologia per aspiranti sacerdoti. Alcuni parroci hanno deciso
di abbreviare d'estate, il rito della prima Messa domenicale, eliminando
la lettura del Vangelo, per poter permettere ai contadini di recarsi al più
presto in campagna.
Il
Vescovo lamenta "l'insufficiente disponibilità finanziaria sia del
Capitolo che della Mensa vescovile, da cui cittadini indigenti attendono
quotidianamente il necessario per la loro esistenza. Lacedonia - egli
scrive, forse esagerando un poco - è per eccellenza la città della
miseria, che domina tutte le famiglie meno pochissime che tirano innanzi
con le usure". Anche se con questo termine si indicava genericamente
il prestito di danaro ad interesse, che poteva anche non essere
esageratamente alto, il vescovo denuncia la presenza di spietati usurai
che approfittano della miseria -dice testualmente- con illeciti interessi
nelle somme che prestano. Deplora anche la corruzione dei costumi venuta
anche, oltre che dall'emigrazione, dalla fondazione del convitto
governativo maschile "vera fucina di perversione".
Il
quinto -capitolo è stato pubblicato su Samnium nel 1987. Riporta
in sei tavolo statistiche, ricavate con un lavoro paziente e certosino dai
registri matrimoniali, le condizioni effettive della popolazione
lacedoniese. Riguardano, infatti: l'età degli sposi le professioni degli
uomini che contraggono matrimonio, le condizioni delle donne, i matrimoni
alfabetizzazione degli uomini, alfabetizzazione delle donne .
Il
perché di questa scelta, sullo stile della Scuola storica francese di "Annales",
lo spiega lo stesso autore alle pagg. 128 e seguenti. I matrimoni sono
indicatori precisi di situazioni storico sociali ed economiche:
diminuiscono in periodi di carestia, di guerre, di calamità naturali di
disgrazie in genere.
In
periodi scarso raccolto, il prezzo del pane aumenta sensibilmente e nelle
zone a prevalente economia agricola - dice Marshal- nelle classi più
povere ci si sposa di meno. La stessa cosa accade in periodi di forte
emigrazione. Ad inizio di secolo, come sappiamo, si andava in America e
spesso non si ritornava più.
Dall'età
degli sposi dal grado di alfabetismo, dai mestieri dei contraenti
matrimoni si ricavano notizie precise sulle condizioni di vita dei veri
protagonisti della storia: noi.
E
le condizioni sono quelle che, non variando sensibilmente nel corso degli
anni, hanno fatto sì che noi fossimo qui lontano dalle nostre avare
montagne. L'approfondimento di queste tematiche, oggetto di studio di
altre pubblicazioni, non poteva rientrare in questo lavoro che ha avuto,
come stiamo vedendo, altri obiettivi. Il testo si chiude con una
interessante appendice : "li brigantaggio in Irpinia dalla fine del
1700 al 1865".
Il
brigantaggio è un fenomeno complesso, non sempre di facile lettura,
variegato, che si manifesta particolarmente nelle regioni meridionali, ma
- come giustamente scrive l'autore nelle note di pag. 149 - presente, in
particolari condizioni, anche in altre regioni europee. In un periodo,
quello attuale, caratterizzato, sul piano politico - culturale, da forti
polemiche, determinate giusti tentativi di rivedere giudizi storici dati
in momenti contingenti e forse emotivamente giustificabili, Ziccardi è
riuscito a non farsi invischiare in posizioni faziose, ma a narrare fatti,
vicende, a prospettare motivazioni dei vari aspetti dei fenomeno in
maniera obiettiva, per quanto umanamente è possibile. Documenti alla mano
ci descrive episodi accaduti durante il periodo francese, dopo la
restaurazione borbonica e tra il 1861 e il '65, nei maggiori centri
dell'Alta Irpinia.
La
lettura è piacevole, appassionante. Vi sono episodi di brigantaggio
sociale di fine '700 (è il caso della banda Angiolillo che agiva a
Calitri che rubava ai ricchi per distribuire ai poveri) - vedi pag. 151 -
e fatti di vera e propria violenza che provocavano terrore e spavento tra
l'inerme popolazione.
Con
la caduta della Repubblica partenopea dei 1799, le bande che avevano
fiancheggiato i Sanfedisti del Cardinale Ruffo, profittando del periodi
anarchia, commettono, in nome regio, vendette private, rapine e violenze.
La stessa cosa avviene dopo la restaurazione borbonica. È sintomatico il
caso di Andretta che Ziccardí esamina da pag. 159 a 162 su documenti
ufficiali: le condizioni economiche e sociali, comuni a quelle di tutti i
centri irpini determinarono l'abbandono delle campagne e i primi fenomeni
migratori.
Interessante
anche la descrizione, con relativa analisi, di quanto accaduto dopo il
crollo dei Borboni e l'affrettata unificazione nazionale con i Savoia. Le
pagine non hanno bisogno di commento, sono da leggere prima tutto d'un
fiato, poi con calma per discutere e riflettere.
I
mali che hanno causato il brigantaggio di allora e i fenomeni malavitosi
di oggi (e non mi riferisco ai reati comuni - patrimonio purtroppo
dell'umanità), l'abbandono delle campagne, le grandi emigrazioni che
ancora oggi spingono tanti di noi operai e contadini, laureati e diplomati
desiderosi di riscatto, di mettere a frutto le proprie energie e le
proprie capacità - senza attendere il classico panariello dal
cielo- sono stati risolti? C'è la volontà "politica” di farlo? O
ne discuteranno ancora i nostri discendenti? Grazie a Dio, la gran parte
di quelli costretti a far la valigia , di fibra, di cartone o simil pelle
- a seconda dei tempi - per Napoli o per Torino, per la Svizzera o la
Germania o per le Americhe, si è affermata, con sacrificio, con tenacia,
facendosi apprezzare mostrando concretamente di che pasta è fatta la
gente irpina.
Grazie
a Ziccardi che con questo ultimo lavoro ci ha offerto spunti per
riflettere e per conoscere meglio la nostra storia. "L'uomo è come
l'albero - diceva il filosofo Nietzsche - più affonda le sue radici nella
terra, più si eleva in alto", ma soprattutto grazie a voi
all'associazione e al dinamico presidente Michele Bortone, che ne avete
promossa con sacrificio, la pubblicazione.
E
grazie anche, per aver avuto la pazienza di ascoltarmi fino in fondo.
GRAZIE! |