Lacedonianews Archivio Anno 2006

 

Brevi note per la presentazione del volume

 “LACEDONIA DAL MEDIOEVO AL XX SECOLO”

Autore Carmine Ziccardi

Pubblicato dall’Associazione Culturale Lacedonia

Presentazione del Professore

Enzo Di Gironimo, dirigente scolastico Istituti Superiori Napoli

Sono veramente lieto di essere, questa sera, in mezzo a voi, lacedoniese tra lacedoniesi, per presentare l'ultimo lavoro di Carmine Ziccardi sulla Storia di Lacedonia dal Medioevo al XX secolo. Lacedonia è per noi un luogo dell'anima, un rifugio ideale in cui trovare scampo nei momenti di crisi nelle temperie della vita. Conoscere le proprie origini, mantenere salde le proprie tradizioni è un modo per sentirsi uniti è rafforzare quel senso di appartenenza che è uno dei valori fondamentali della comunità sociale.

Il testo che questa sera viene presentato ha lo scopo di aiutarci a conoscere alcuni aspetti poco noti della nostra storia dal Medioevo fino alle soglie, del XX secolo.

Presenta documenti inediti, scovati negli archivi di stato, delle abbazie, della diocesi e in quelli segreti del Vaticano, documenti che riguardano fatti ed eventi non trattati da altri studiosi per la difficoltà di reperire fonti a cui riferirsi.

Ci ha dimostrato così che queste fonti esistono e che possono essere rinvenute lavorando con passione, sacrificio anche economico, umiltà, competenza e tanta, tanta pazienza. Vuole essere così di stimolo, di "sveglia” per i giovani ricercatori (e ce ne sono di validi e capaci), per rinnovare e approfondire studi sulle nostre sfortunate e spesso neglette zone. E questo, a mio parere, è il merito principale del lavoro di cui stiamo parlando.

Si parte dal Medioevo, quindi. Un periodo lungo, difficile, che vede crollare dolorosamente e rovinosamente una civiltà, quella romana, ma che vede anche germogliarne una nuova, quella europea, con la "fusione" dell'elemento latino con quello germanico nello spirito del Cristianesimo ormai trionfante.

Prima di addentrarci sulle vicende narrate nel testo, ritengo però opportuno delineare brevemente la storia di Lacedonia nel cosiddetto evo antico.

Il primo nostro storico fu Pasquale Palmese, (1801 - 1882) "canonico cantore della Chiesa cattedrale e cancelliere della curia vescovile" (così come egli stesso amava definirsi), autore del testo pubblicato a Napoli nel 1876, sintesi di un voluminoso manoscritto conservato presso la biblioteca del Seminario vescovile e ripubblicato a Salerno nel 1924 con il titolo "Notizie storiche- cronologiche di Lacedonia".

Le sue fonti sono essenzialmente letterarie ed archeologiche: Livio, Plinio, Tolomeo, Ughellio ed altri autori e reperti rinvenuti o personalmente da lui o di cui ha avuto notizie.

Ha rappresentato il punto di riferimento (sia di accettazione di quello che scrive o in polemica e contraddizione) per tutte le altre numerose pubblicazione avute poi nel corso di questi ultimi decenni come quelle - ne cito semplicemente alcune- a cura del Circolo Culturale "T. Arminio", di Saponiero, Caggiano, Vigorita, Chicone, Michele D'Avino, Bardaro, Pepe. L'ultima, di cui ho notizia, è la pregevole e documentata opera di Nicola Fierro "Aquílonia in Hirpinis"- che riguarda Lacedonia in età Sannitica e romana, pubblicata, questa estate, a cura dei Gruppo Archeologico AKUDUMNIA, diretto dal giovane scrittore Michele Miscia.

Altre fonti sono il MOMMSEN - che nel IX volume del Corpus Inscriptionum Latinarum esamina e descrive alcune epigrafi di epoca romana rinvenute a Lacedonia e nel circondario, Camillo Porzio per quanto riguarda la Congiura dei Baroni del 1486 e Pacichelli G.B. autore de "Il Regno di Napoli in prospettiva” del 1703.

  Una prima domanda: quando viene fondata Lacedonia?

Le origini sono avvolte nella leggenda. Palmese ne discute a lungo: molto probabilmente è di origine Osca, più precisamente sannita, nella determinazione irpina.

Gli Osci appartenevano (come gli Umbri, gli Etruschi) a quelle popolazioni "italiche" che popolarono la nostra penisola intorno al primo millennio a.C.. Popolo di pastori che durante le migrazioni dovute alla ricerca di pascoli migliori si insediavano nei punti che ritenevano più strategici, fondando villaggi. Quando aumentavano di numero in modo eccessivo, ricorrevano al rito del "Ver Sacrum": un anno veniva proclamato sacro e tutti quelli che vi nascevano, una volta raggiunta la maggiore età , venivano espulsi dalla comunità e costretti quindi a ricercare nuove terre e fondare nuovi villaggi. Ecco, i nostri paesi potrebbero essere nati così.

Nelle nostre zone questi giovani sanniti sarebbero arrivati tra il VI - V sec. a. C.. I primi insediamenti potrebbero essere stati nelle grotte scavate nel tufo," sotto le rupi”, per intenderci. Lacedonia, come sappiamo, sorge su un banco tufaceo, determinato da una nube ardente (ignimbrite) dovuta ad eruzione vulcanica, del Vulture, probabilmente. Il suo primo nome (e questo è ormai certo) è "AKUDUINNIAD", o Akudunnia - senza la "d" finale- così come risulta da alcune monete bronzeo che recano, sotto l'effigie di Atena, la scritta "coniate in Akudunnia”. Se aveva la possibilità di battere moneta, vuol dire che era una cittadina importante, fortificata, con un esercito proprio.

Da Akudunnia, come sostiene il D'Avino nel testo "Akudunnia, oggi Lacedonia degli Irpini”, attraverso passaggi successivi, Aquudonnia, Aquiddonia, Aquilonnia, si pervenne al nome Aquilonia, con cui fu conosciuta durante il periodo della romanità, come attesta anche il Mommsen, citando Plinio e Tolomeo.

Come poi si sia passati da Aquilonia a Lacedonia è lo stesso D'Avino a prospettarcelo. La variazione avviene nella "parlata locale", nel dialetto, direttamente dalla trasformazione dell'originale Akudunnia, con Cidogna, Cedogna ("Cerogna" nel nostro dialetto), La Cedogna, Lacedogna ( una sola parola), e infine Lacedonia.

Il primo stemma, comune a molte popolazioni transumanti di origine sannitic - írpina, fu la testa di Toro sormontata da due stelle; successivamente l'aquila bicipite ( in abbinamento al nome Aquilonia ) fino al Medioevo, poi quello attuale, la Cicogna con un serpente nel becco. Sarebbe interessante, e non solo per il fatto in sé, studiare come siano avvenute queste trasformazioni araldiche.

Le vicende di Aquilonia sono strettamente legate a quelle riguardanti le guerre sannitiche, che si trascinarono per vari decenni fino a concludersi, con la vittoria di Roma, nella famosa battaglia di Aquilonia del 293 a.C. di cui Livio parla a lungo nel X libro delle sue Storie.

Ma qui è sorta una polemica tra gli storici: l'Aquilonia di cui parla Livio è l'Aquilonia degli Irpini, cioè la nostra Lacedonia, o è un'altra da collocare nel Sannio più interno?

(Vedete come è difficile fare storia quando mancano documenti certi e si lavora su interpretazioni). Pur partendo dalle stesse fonti gli storici hanno espresso tesi diverse, spesso contraddittorie. L'ultima, in ordine di tempo, è quella del valente studioso bisaccese prof. Nicola Fierro, ispettore onorario della soprintendenza alle antichità archeologiche. Nel testo già citato "Aquilonia ín Hirpínis”, l'autore individua proprio nel territorio della nostra Aquilonia - Lacedonia, e precisamente nell'arca del Calaggio, il luogo della battaglia finale del 293 tra la legione linteata dei Sanniti e le legioni romane, risultate poi vincitrici. "In quel momento - dice Fierro - Aquilonia fungeva da capitale del Sannio libero... Le monete bronzee con l'effigie di Atena e con la dicitura Akudunnia - citate anche dal Devoto - potrebbero essere proprio di questo periodo".

Dopo la sconfitta, dovuta anche all'alta strategia militare dei comandanti romani (sul campo rimasero uccisi ben 24340 combattenti e ne furono fatti prigionieri 3870), Aquilonia veniva incendiata e distrutta e la popolazione costretta a fuggire per il Pauroso, a cercare scampo nei boschi fin nei pressi di Montella. Stessa sorte toccava a Cominio, l'attuale Monteverde.

Con la romanizzazione Aquilonia lentamente si riprendeva. Nulla di certo si sa sulle vicende legate alle guerre contro Annibale. Palmese sostiene che Aquilonia, con altre cittadine del Sannio irpino, avesse parteggiato per Annibale per vendicarsi della sconfitta subita. Questa tesi non sempre è accettata da altri studiosi. Di certo si sa che nel 90 Aquilonía aveva già ottenuto, come altre cittadine italiche, la cittadinanza romana e veniva retta da un quadrunvirato. Riacquistata importanza, annoverava terme e monumenti notevoli (come attestato dalle lapidi , descritte dal Mommsen) e da altri reperti trovati dal già citato gruppo archeologico e studiati da Fierro (gli ultimi ritrovamento, proprio di questi giorni, a Serrone, sono stati un cippo in onore di Ercole vincitore ed un altro, funerario, con invocazione agli Dei Mani). Si annoverava, in città, anche un tempio dedicato alla dea Iside", facendo ipotizzare - a questo studioso- o la presenza in città di un gruppo etnico di origine egizia o che la borghesia locale faceva affari d'oro con i mercanti egiziani che praticavano il commercio lungo la via Appia".

Sulle rovine di questo tempio è stata poi edificata la chiesa di S. Maria la Cancellata., come vuole la tradizione, attestata, come pare, dai numerosi reperti trovati durante i restauri alla struttura della chiesa. La storia di Aquilonia - Lacedonia ormai era legata alle vicende di Roma.

Palmese, citando I' Ughellio e la sua "Italia sacra" e Tolomeo, ipotizza che Aquilonia, con Abellinum Aeculanum e Fratuentum, avesse abbracciato la fede cristiana, sin dai tempi della predicazione di S. Pietro, e che già intorno al 400 d.C. fosse sede vescovile. Ipotesi per un canonico suggestiva, molto probabilmente valida, non suffragata, però, da documenti certi.

Con la caduta dell'Impero e con le prime invasioni barbariche anche per Aquilonia- Lacedonia incominciarono i tempi tristi. Addio antichi fasti, addio prestigio. Anche gli storici sembrano fermarsi oppure affrettano la loro narrazione.

Il Palmese, invece, ... accelera e riduce in poche pagine oltre mille anni di storia. Altre pubblicazioni fanno altrettanto e corrono subito al 1486, alla Congiura dei Baroni. Non hanno a disposizione archivi da consultare, né reperti archeologico sepolti o distrutti per terribili terremoti. Si ha memoria storica del sisma del 989 e soprattutto di quello disastroso della notte tra il 4 e 5 dicembre 1456. Lacedonia fu rasa al suolo. Per ricostruirla, come già per il passato, si fece ricorso al materiale esistente in loco. E così i pezzi degli antichi templi, i marmi delle terme, dei palazzi le pietre tombali, i mosaici scalpellati, spezzati, adattati diventavano soglie, architravi, spigoli, riempitivi (come i frammenti di mosaico ritrovati tra le intercapedini delle mura di S. Maria) per ricostruire nuove ma modestissime case, segni della miseria dei tempi.

E proprio da questi tempi tristi dell'Alto Medioevo inizia questo libro . Carmine Ziccardi, come tutti ormai sapete, è archivista di professione, anzi è il direttore amministrativo dell'archivio di Stato dì Pavia. Poteva mettere il naso dappertutto anche nelle carte segrete del Vaticano e lo ha fatto con passione, con spirito critico, ovviamente con competenza, e ha ricavato notizie non soltanto su eventi bellici che riguardavano i "Signori”, i Principi, i Baroni, ma sulle condizioni di vita dei veri protagonisti della storia: le persone comuni, gli umili, i sudditi. E lo ha fatto, pubblicandole in varie riviste specializzate, in articoli in questo testo riuniti e raccolti.

Questi lavori, pur essendo redatti in tempi diversi, mostrano - come ho scritto nella presentazione - una linea di continuità di ispirazione braudeliana. Riguardano, infatti oltre alla necessaria narrazione degli eventi più importanti i movimenti demografici, le tasse, i matrimoni i mestieri i mezzi di trasporto e di comunicazione che ci fanno capire come vive un popolo, come questo si evolve nei tempi.

Se avessero voluto fare altrettanto gli studiosi che si sono occupati delle vicende dell'età antica, non avendo tra le mani documenti specifici, avrebbero dovuto fare ricostruzioni basandosi in generale, sulla vita degli antichi romani e delle popolazioni italiche, ricavando informazioni dalla letteratura, dall'arte, dall'archeologia, perché di specifico sulle nostre zone e su Lacedonia non vi è nulla. Anche io, pertanto, mi sono limitato a raccontarvi, come introduzione, eventi salienti di natura essenzialmente bellico- politica. E veniamo al testo.

Siamo intorno al 500 d.C. La civiltà romana è profondamente in crisi. I Barbari scorrazzano nella nostra penisola: incendiano, depredano, uccidono. Le popolazioni terrorizzate fuggono dalle campagne, spesso distruggendo strade e ponti per rallentare le invasioni. Inutilmente! Guardiamo che succede a Conza, dice Ziccardi prendendola come punto di riferimento per illustrare la situazione alta-irpina.

 

L'antica famosa Compsa, posta in posizione strategica, 15° provincia ecclesiastica della cristianità, archidiocesi che aveva come suffraganee tutte le diocesi dell'alta Irpinia, (da Lacedonia a S. Angelo, a Nusco, a Muro Lucano ... ) viene assaltata e occupata dai Goti nel 524 circa, dai Bizantini nel 555, dai Longobardi nel 591. Immaginiamo con quanta gioia di quella popolazione depredata e vessata ogni volta da nuovi padroni. Eppure, con i Longobardi riesce a riprendersi tanto da essere scelta come capoluogo di un cospicuo gastaldato. Ma orinai si vive di stenti e di miseria. Stessa sorte subisce Aquilonia - Lacedonia che ritroviamo facente parte della contea di Benevento (Oggi Conza - commenta amaramente Ziccardi - non esiste quasi più. Distrutta dal sisma del 1980, è stata ricostruita lontana dal sito originario. Dell'antica importanza non resta che il ricordo, dell'Arcidiocesi soltanto il nome).

La storia di Lacedonia, come quella di Conza, è da questo momento soprattutto storia della sua diocesi. Per gli studiosi è una fortuna; d'ora in poi la ritroviamo, così, nelle fonti ecclesiastiche, le uniche esistenti. Infatti, nel periodo in cui - come dice il Desideri - infuriava la tempesta barbarica e in mezzo ai disordini, alle violenze, alle stragi crollavano tutte le civili istituzioni, proprio intorno ai monasteri benedettini sorti anche da noi come illustra Ziccardi a pag, 15, incomincia a sorgere il modello di una nuova società non più fondata sulla violenza e la conquista, ma sull'amore e sulla solidarietà collettiva un nuovo tipo di società e una nuova concezione della vita che aveva il suo fondamento nel cristianesimo evangelico.

E proprio intorno ai monasteri - scrive il Morghen - veniva a ricomporsi in nuclei vitali la società sconvolta dalle invasioni barbariche; i contadini andarono a raggrupparsi in cerca di protezione e dietro l'esempio dei monaci presero a dissodare le terre incolte e a ripopolarle, facendo risorgere la coltura della vite e quella dell'ulivo da tempo abbandonate. I monaci tra l'altro, erano gli unici, e non tutti ovviamente, che avevano una certa cultura, per cui diventarono il punto di riferimento anche per dirimere questioni di ordine legale. I registri dei battezzati, cresimati dei matrimoni e dei defunti, ad es., sono stati per secoli (almeno fino alle riforme napoleoniche, murattiane da noi – 1815 / 20 circa) gli unici registri anagrafici. Quindi, anche da noi intorno al monastero di S. Salvatore situato vicino alla cattedrale, risorge la vita, un po’ meno misera meno povera.

Sconfitti i Longobardi, Lacedonia passa sotto i Normanni (Nel 1059 è Vescovo Simeone. Lo troviamo registrato tra i Vescovi partecipanti coi Papa Niccolò Il al Concilio di Melfi e alla consacrazione della Chiesa di S. Michele a Monticchio). Passa poi sotto gli Svevi e gli Angioini. Le vicende narrate da pag. 16 a pag. 22 sono ben documentate (i testi sono riportati nelle note in lingua originale).

E passiamo ai paragrafi, per me più interessanti dei primo capitolo: "Fuochi e tasse di Lacedonia e dintorni", "Vicende demografiche e controversie feudali”.

Sono importanti perché ci fanno capire le reali condizioni di vita della nostra popolazione.

La nostra gente, dicevo prima, è passata dalla dominazione normanna, a quella sveva di Federico Il che amava queste terre e a Melfi, già eletta dagli Altavilla capitale dei propri possedimenti in Puglia, promulgò nel 1231 le Constitutioni melfitane che, se attuate , avrebbero trasformato il Regno di Sicilia da stato feudale, cioè non-stato, a stato moderno, razionale, efficiente, con due secoli di anticipo sulla storia europea.

I Lacedoniesi come le altre popolazioni irpine e del l'intero regno, vedono migliorate, sempre nel quadro generale dell'indigenza e della miseria, le proprie condizioni di vita, partecipando alla cosiddetta Rinascita intorno all'anno Mille. Erano state apportate, infatti delle innovazioni nel campo dell'agricoltura: piccole cose che hanno fatto la storia !

L'introduzione dell'uso del collare a spalla per cavalli e muli invece della cinghia sottogola che impediva la piena respirazione, la ferratura degli zoccoli, avevano aumentato la capacità di tiro degli animali, per cui si poté passare dall'aratro a chiodo a quello a vomero con le ruote. Arando più profondamente, le sementi non andavano perdute. La rotazione agricola, per cui si passò dall'avvicendamento biennale a quello triennale con l'introduzione di nuove colture per la fienagione, sperimentate dai monaci portò all'aumento notevole della produzione delle derrate alimentari. Si poteva mangiare di più e quindi si poteva vivere meglio. E la popolazione aumentò anche nei nostri villaggi ( delle città che furono forse si conservava qualche vago ricordo).

Ma arrivarono gli Angioini e aumentarono le tasse! Più famiglie (dette fuochi) - come si precisa nel glossario a pag. 188 - più soldati da fornire al Re e se non si vuol fare il soldato più tasse da pagare. E le povere comunità (o universitas) tentavano di imbrogliare le carte ("re fa fesso l'esattore") riducendo il numero dei fuochi. Ma questi se ne accorse e arrivò la multa. Lacedonia, leggiamo a pag. 24, fu costretta a pagare altre 8 once e sette tarì e mezzo. Ma siccome le comunità, sempre più vessate e affamate non perdono il vizio, arrivano altre mazzate. La Corte ingrassa e si diverte, fa le guerre e la povera gente paga, diventando sempre più povera!

Dalla lettura di questi paragrafi, apprendiamo inoltre come funzionava il sistema amministrativo feudale del Regno di Sicilia diverso da quello di stile carolingio del resto d'Italia, d'altra parte già tramontato per far posto ai liberi Comuni. Qui notiamo l'intervento diretto del Re a favore delle comunità di Lacedonia e Monteverde: i feudatari non sono i padroni assoluti ma debbono dar conto delle loro azioni alla Corte che può disporre sempre dei benefici e dei territori concessi; stesso trattamento per gli Abati e i Vescovi.

Apprendiamo anche che fine abbiano fatto gli archivi del periodo angioino: perduti per ignoranza, incuria, guerre (pag.28).

Dopo gli Angioini ecco gli Aragonesi. Lacedonia passa da un Signore all’altro. E le vicende sono ben documentate:

la "Congiura dei Baroni, del1486, contro Ferrante (succeduto al padre nel 1458), uomo duro e senza scrupoli che si fece odiare da tutti, le controversie economi - giuridiche intentate alla fine del medioevo, nei confronti dei vari baroni, per questioni di possedimenti di tasse, di usi civici e in modo particolare contro il principe di Melfi, i cui esiti si trascinarono fino alle soglie dell'età contemporanea, con l'eversione delle feudalità.

Ziccardi è opportuno precisarlo, di questo lungo periodo ci ha dato le notizie inedite, tratte - come dicevo - da fonti di archivio - sorvolando volutamente su quanto già narrato su altre pubblicazioni, tipo il terremoto disastroso del 1456, (quando la gente fu costretta a ritornare ad abitare nelle grotte, sotto le rupi prima della ricostruzione incoraggiata ed aiutata dagli Orsini, feudatari del momento, fatta proprio, per maggiore sicurezza sul banco tufaceo ( situato più a monte dell'antico abitato ), su cui ancora oggi sorge la "cittadella'. Ecco perché la vecchia Cattedrale (S. Maria la Cancellata) venne a trovarsi fuori città; la costruzione del nuovo castello nel 1508 con i Pappagoda, l'avvicendarsi dei vescovi. Il suo merito, voglio ripeterlo, è proprio quello di scovare nelle fonti archivistiche quanto finora sconosciuto specialmente nei periodi cosiddetti bui rimandando e lo dice esplicitamente nelle note ad altre pubblicazioni la ricerca e l'ampliamento di notizie già note. Ed io sto facendo altrettanto. Mi sono soffermato maggiormente su aspetti poco noti e discussi mentre sto sorvolando su quelli noti o accettati da tutti. Dei Vescovi ad esempio, grazie al Palmese, canonico della Cattedrale, sapevamo molto, mentre delle istituzioni laiche non si sapeva quasi nulla . Ecco, qui è intervenuto Ziccardi con le sue ricerche di Archivio. Lo studioso, ora, trova ulteriori spunti per continuare a ricercare, ad approfondire.

Nel secondo capitolo, " la Diocesi di Macedonia” nel '600, Ziccardi prende in esame le "Relazioni ad limina apostolorum" presentate dal Vescovo Bruni dal 1631 al 1634 perché offrono un'abbondanza di notizie sui luoghi pii, sulla popolazione, sulle chiese, sui beni ecclesiastici sul clero e sulla vita religiosa, sulle confraternite, sui benefici, sui consumi del popolo e sui monasteri e costituiscono una fonte dalla quale si traggono moltissimi dati importanti. Apprendiamo ad es. che rispetto agli abitanti, 1200 circa, vi sia un elevato numero di canonici, ben dodici che hanno un'entrata di 70 ducati l'anno. Non è una gran cifra, comunque di molto superiore a quella di un povero contadino. Si può ben capire come fare il prete, il più delle volte, non era frutto di vocazione religiosa, ma un modo per assicurare una vita meno grama a se stesso e ai propri familiari, oltre che una questione di prestigio sociale. Alle alte cariche, nell'ambito del Capitolo, accedevano i rappresentanti  di quella borghesia terriera che si stava lentamente costituendo. Si spiega così l'ignoranza di alcuni di essi e la moralità non certo irreprensibile (solo più tardi sorsero i Seminari per la preparazione dei Sacerdoti). Le relazioni mettono bene in luce tutto ciò e soprattutto l'estrema degrado morale ed economico in cui versano i fedeli. Ed in queste situazioni anche il possesso di una "stanza " -piccolo appezzamento di terreno- diventa oggetto di liti tra la comunità e il Vescovo. Questi ad es. sostiene che è necessario aumentare le multe per evitare di sentir maledire e bestemmiare in chiesa. La religiosità, quindi è più esteriore che sentita se il Vescovo Pedoca, uomo di grande cultura e noto matematico, appena insediato in Diocesi, attuò una serie di iniziative miranti a rinsaldare la fede; a ricordo di queste fece sistemare, nel 1587, all’ingresso della città quella colonna di travertino sormontata da una croce, che vediamo ancora oggi prima di imboccare la “tagliata”.

Questo capitolo – dicevo – va ad interarsi perfettamente con quanto scritto nell’ottimo lavoro “La Diocesi di macedonia nell’Età moderna” dal giovane compianto storico Giovanni Libertazzi di Rocchetta S.A.

 Altro capitolo interessante è il terzo: "La platea del feudo di Lacedonia" - pubblicato la prima volta su VICUM nel '92.

Dopo una necessaria ed istruttiva introduzione sulla particolare istituzione feudale delle nostre terre tra '600 e '700, si passa ad esaminare la situazione dei feudo di Lacedonia, attraverso una ricerca minuziosa dei documenti esistenti in proposito, verso la fine del 1700. Risulta subito evidente che l'intero territorio apparteneva, oltre che al feudatario di turno, a poche famiglie benestanti o di piccoli proprietari da cui dipendevano poi altri contadini, coloni, braccianti. Molti cognomi sono presenti ancora oggi, altri sono ormai scomparsi.

Dal 1559 ( Pace di Cateau - Cambresis) il Regno di Napoli è sotto il dominio spagnolo che durerà fino al 1713. Dopo una breve parentesi austriaca, arrivano i Borboni. Non mancano in questi periodi episodi banditeschi. Nel 1682,- scrive Libertazzi - ad es., l'intero paese fu preso d'assalto e saccheggiato da una banda di 80 uomini - capeggiata da Giovanni Botta, l'albanese, che sequestrò a scopo di ricatto il Vescovo Bartoli e alcuni cittadini meno poveri terrorizzando la popolazione che fu costretta a fuggire. Qualche decennio dopo, lo leggiamo nella cronologia a pag.185, nel 1696 il Vescovo La Morea pose la prima pietra della nuova cattedrale, completata nel 1766 e inaugurata il 19 ottobre dal Vescovo Niccolò D'Amato. La Chiesa di S. Antonio, posta al centro della città e che fungeva da cattedrale durante il periodo invernale, era stata notevolmente danneggiata, come gran parte delle case, dal terremoto dell'8 settembre 1694.

Cambiano, nel frattempo i feudatari, non cambiano molto le condizioni di vita dei popolo. Anzi l'aumento demografico accentua il disagio per cui per vivere si sfrutta ogni spazio utile. L'eversione della feudalità, tra il 1808 e il 1810, porta qualche beneficio, soprattutto tra i piccoli proprietari terrieri, che vanno a costituire la nascente, modesta borghesia locale. La spedizione garibaldina e il passaggio dalla monarchia borbonica a quella sabauda non crea ribellioni e rivolte sociali come quella, drammatica, dell'ottobre 1860 nella vicina Carbonara, ma il coinvolgimento diretto di Lacedonia e di vicini paesi nell'ancora oggi discusso fenomeno del brigantaggio. (Ma di questo parleremo tra poco).

Nel 1878 c'è, finalmente, un evento lieto ed importante per la storia, anche personale, di gran parte di noi: Francesco De Sanctis fonda la Scuola Normale dell'Alta Irpinia, l'attuale Istituto Magistrale.

E andiamo ai cap. IV (La Diocesi di Lacedonía " '800 e '900 nella relazione del Vescovo Zimarino) e V (La società e l'istruzione a Lacedonia all'inizio del '900 dai registri matrimoniali). Questi capitoli sono strettamente collegati dalla stessa linea interpretativa, anche se pubblicati in anni e riviste diverse. Ci fanno conoscere, dati alla mano, la situazione storico sociale che ha determinato quegli atteggiamenti culturale, quei fermenti politico- sociali e soprattutto le grandi emigrazioni che hanno caratterizzato le vicende del mezzogiorno e dei nostro paese in particolare, specialmente nella seconda metà del ‘900.

Il quarto capitolo è stato pubblicato nel ’91 su “Rassegna storica irpina” e contiene le due Relations ad limina del nov. 1898 e del nov. 1903 del Vescovo Zimarino, che aveva assunto la guida della diocesi nel 1896.

Tiro fuori qualche notizia.

La Diocesi conta nel '98 dieci paesi: Lacedonia, Trevico, Carife, Castel Baronia, S. Nicola Baronia, S. Flumeri, Anzano, Rocchetta S. Antonio e Scampitella con circa 27.000 abitanti ed undici parrocchie, nel '93 sale a 28.000. Il Vescovo descrive accuratamente lo stato in cui si trovano le chiese, misero in verità, e ci dice anche che in alcuni paesi si sono costituiti dei Monti di pietà frumentari, amministrato dai parroci e da laici anziani con lo scopo di distribuire ai contadini poveri il grano con un interesse minimo. Scrive pure che qualche sacerdote era stato sospeso "a divinis" per "i loro disordinati costumi". A Lacedonia funziona un asilo infantile, che assiste ben 150 bambini, affidato alle Suore figlie di S. Anna e che svolge "un'opera provvidenziale per i figli dei contadini i quali sono continuamente, impegnati nel lavoro dei campi". Il seminario, oltre al ginnasio, conta anche un corso superiore di Teologia per aspiranti sacerdoti. Alcuni parroci hanno deciso di abbreviare d'estate, il rito della prima Messa domenicale, eliminando la lettura del Vangelo, per poter permettere ai contadini di recarsi al più presto in campagna.

Il Vescovo lamenta "l'insufficiente disponibilità finanziaria sia del Capitolo che della Mensa vescovile, da cui cittadini indigenti attendono quotidianamente il necessario per la loro esistenza. Lacedonia - egli scrive, forse esagerando un poco - è per eccellenza la città della miseria, che domina tutte le famiglie meno pochissime che tirano innanzi con le usure". Anche se con questo termine si indicava genericamente il prestito di danaro ad interesse, che poteva anche non essere esageratamente alto, il vescovo denuncia la presenza di spietati usurai che approfittano della miseria -dice testualmente- con illeciti interessi nelle somme che prestano. Deplora anche la corruzione dei costumi venuta anche, oltre che dall'emigrazione, dalla fondazione del convitto governativo maschile "vera fucina di perversione".

Il quinto -capitolo è stato pubblicato su Samnium nel 1987. Riporta in sei tavolo statistiche, ricavate con un lavoro paziente e certosino dai registri matrimoniali, le condizioni effettive della popolazione lacedoniese. Riguardano, infatti: l'età degli sposi le professioni degli uomini che contraggono matrimonio, le condizioni delle donne, i matrimoni alfabetizzazione degli uomini, alfabetizzazione delle donne .

Il perché di questa scelta, sullo stile della Scuola storica francese di "Annales", lo spiega lo stesso autore alle pagg. 128 e seguenti. I matrimoni sono indicatori precisi di situazioni storico sociali ed economiche: diminuiscono in periodi di carestia, di guerre, di calamità naturali di disgrazie in genere.

In periodi scarso raccolto, il prezzo del pane aumenta sensibilmente e nelle zone a prevalente economia agricola - dice Marshal- nelle classi più povere ci si sposa di meno. La stessa cosa accade in periodi di forte emigrazione. Ad inizio di secolo, come sappiamo, si andava in America e spesso non si ritornava più.

Dall'età degli sposi dal grado di alfabetismo, dai mestieri dei contraenti matrimoni si ricavano notizie precise sulle condizioni di vita dei veri protagonisti della storia: noi.

E le condizioni sono quelle che, non variando sensibilmente nel corso degli anni, hanno fatto sì che noi fossimo qui lontano dalle nostre avare montagne. L'approfondimento di queste tematiche, oggetto di studio di altre pubblicazioni, non poteva rientrare in questo lavoro che ha avuto, come stiamo vedendo, altri obiettivi. Il testo si chiude con una interessante appendice : "li brigantaggio in Irpinia dalla fine del 1700 al 1865".

Il brigantaggio è un fenomeno complesso, non sempre di facile lettura, variegato, che si manifesta particolarmente nelle regioni meridionali, ma - come giustamente scrive l'autore nelle note di pag. 149 - presente, in particolari condizioni, anche in altre regioni europee. In un periodo, quello attuale, caratterizzato, sul piano politico - culturale, da forti polemiche, determinate giusti tentativi di rivedere giudizi storici dati in momenti contingenti e forse emotivamente giustificabili, Ziccardi è riuscito a non farsi invischiare in posizioni faziose, ma a narrare fatti, vicende, a prospettare motivazioni dei vari aspetti dei fenomeno in maniera obiettiva, per quanto umanamente è possibile. Documenti alla mano ci descrive episodi accaduti durante il periodo francese, dopo la restaurazione borbonica e tra il 1861 e il '65, nei maggiori centri dell'Alta Irpinia.

La lettura è piacevole, appassionante. Vi sono episodi di brigantaggio sociale di fine '700 (è il caso della banda Angiolillo che agiva a Calitri che rubava ai ricchi per distribuire ai poveri) - vedi pag. 151 - e fatti di vera e propria violenza che provocavano terrore e spavento tra l'inerme popolazione.

Con la caduta della Repubblica partenopea dei 1799, le bande che avevano fiancheggiato i Sanfedisti del Cardinale Ruffo, profittando del periodi anarchia, commettono, in nome regio, vendette private, rapine e violenze. La stessa cosa avviene dopo la restaurazione borbonica. È sintomatico il caso di Andretta che Ziccardí esamina da pag. 159 a 162 su documenti ufficiali: le condizioni economiche e sociali, comuni a quelle di tutti i centri irpini determinarono l'abbandono delle campagne e i primi fenomeni migratori.

Interessante anche la descrizione, con relativa analisi, di quanto accaduto dopo il crollo dei Borboni e l'affrettata unificazione nazionale con i Savoia. Le pagine non hanno bisogno di commento, sono da leggere prima tutto d'un fiato, poi con calma per discutere e riflettere.

I mali che hanno causato il brigantaggio di allora e i fenomeni malavitosi di oggi (e non mi riferisco ai reati comuni - patrimonio purtroppo dell'umanità), l'abbandono delle campagne, le grandi emigrazioni che ancora oggi spingono tanti di noi operai e contadini, laureati e diplomati desiderosi di riscatto, di mettere a frutto le proprie energie e le proprie capacità - senza attendere il classico panariello dal cielo- sono stati risolti? C'è la volontà "politica” di farlo? O ne discuteranno ancora i nostri discendenti? Grazie a Dio, la gran parte di quelli costretti a far la valigia , di fibra, di cartone o simil pelle - a seconda dei tempi - per Napoli o per Torino, per la Svizzera o la Germania o per le Americhe, si è affermata, con sacrificio, con tenacia, facendosi apprezzare mostrando concretamente di che pasta è fatta la gente irpina.

Grazie a Ziccardi che con questo ultimo lavoro ci ha offerto spunti per riflettere e per conoscere meglio la nostra storia. "L'uomo è come l'albero - diceva il filosofo Nietzsche - più affonda le sue radici nella terra, più si eleva in alto", ma soprattutto grazie a voi all'associazione e al dinamico presidente Michele Bortone, che ne avete promossa con sacrificio, la pubblicazione.

E grazie anche, per aver avuto la pazienza di ascoltarmi fino in fondo. GRAZIE!


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