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Ormai solo gli anziani lo ricordano così, con la neve che imbiancava le vallate dell'Osento e del Toscano attutendone i colori forti dell'inverno, oppure con le cime del 'Monte' e di Origlio, di Macchialupo e della Mezzana, del Pauroso e delle Serre già bianche e sommerse sotto una candida coltre.

Ogni anno la si sogna così questa festa universale. Perciò non resta che immergersi in quelle acque sicure, tra famiglia e tradizione, per rivivere i riti di un passato che non dovrebbe tramontare mai, per gustare quei sapori inconfondibili che sanno di casa e di genuinità, e non solo in campo gastronomico.

E' uno zoccolo ancora duro il vincolo familiare a Cirogna, dove le usanze sentono anche l'influenza delle limitrofe Basilicata e Puglia.

Come in altri paesi ed in altre Regioni, qui da noi il Natale è ancora oggi la sagra del baccalà e del pesce. Pescivendoli improvvisati anda­vano, e qualcuno va ancora oggi, a cercare il pesce con infinita pazienza, anche affrontando decine e decine di chilometri di carretto (ieri) o di au -tomobile (oggi), per dare, a chi lo comprava, la possibilità di soddisfare il gusto di avere sulla tavola, la sera della Vigilia, anguille e capitoni pe­scati nella laguna di Lesina, ai piedi del Gargano.

Ed ecco una bella corsa a Carife o a Sant'Agata di Puglia o a Barile per comprare olio fresco di frantoio, quell'olio genuino che dà sapore alle "pètt(o)le", una specie di frittelle grandi quanto un bignè, fatte di pasta lievitata, fritte e inzuccherate abbondantemente. Farina, olio e acqua: gli ingredienti poveri di quello che una volta era il pranzo dei poveri e che oggi è tradizione, un ritorno alle origini, anche se momentaneo, incasto­nato nella particolare cornice natalizia. Facevano della tavola gran festa anche i gustosissimi "cauzunciéll(i)", simili ai ravioli, imbottiti di pasta di castagne e di cioccolata, e cotti in forno; gli "sfringi" e gli "strufoli", fritti e poi passati nel miele; le "sfogliatelle", imbottite di ricotta o di marmel­lata di amarena; e tante altre specie di ciambelle e dolci natalizi che in ogni paese cambiano nome sol perché hanno qualche ingrediente in più o in meno.

E stato sempre così.

Ancora oggi il Natale, a Lacedonia, vuol dire ritrovarsi, incontrarsi, riunire almeno in quel giorno le famiglie una volta compatte ed ora sparse di qua e di là. Si cerca di comporre almeno in parte la diaspora che ha copiosamente salassato il nostro paese. E' il mito, ormai pressoché tramontato, della famiglia patriarcale che viene inseguito, riproposto e rivissuto anche se per poche ore.

Ritornano gli emigrati, interi nuclei familiari ormai trapiantati in Lombardia o in Toscana, in Svizzera o in Germania, a Torino o a Roma, dove più folte sono le colonie di Lacedoniesi. Qualche giorno prima della Vigilia, già i primi treni straordinari scendono lungo la linea adriatica e colonne di macchine si incamminano sull'autostrada Milano-Bologna­Canosa-Lacedonia e Roma-Avellino-Lacedonia per riportare al paese na­tìo un considerevole numero di Lacedoniesi.

Tra Lacedonia e le nuove patrie di adozione, questo interscambio di persone (e di merci) si ripete anche durante l'anno in occasione delle feste estive, della Pasqua e della commemorazione dei Defunti.

I sapori di casa nostra vanno al Nord per dare colori e umori a un soggiorno forzato tra le nebbie e il freddo: gli stessi sapori che si preferi­sce gustare sotto il cielo di Lacedonia, quando è Natale.

Tradizioni che si intrecciano. Però non ci si sente "stranieri in patria", anche se si parlano dialetti diversi.

E questo, per buona sorte, non succede soltanto a Natale.

di Antonio Vigorita

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Ultimo aggiornamento: 13-12-06