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Sono riportate alcune pagine del libro

Aquilonia in Hirpinis

Lacedonia in età Sannitica e Romana. 

di Nicola Fierro

Presentazione  di  Pietro Mennea

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Aquilonia in età Sannitica

  La Campania contesa da Romani e Sanniti

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La seconda guerra sannitica era terminata nel 304 a.C.

Romani e Sanniti, anche se avevano sottoscritto un trattato di pace, avevano sempre mire espansionistiche in Campania. Oggetto della contesa era questa regione, ricca di terreni fertili e di derrate alimentari. Tra Roma e il Sannio la tensione era tale che una nuova guerra poteva scoppiare da un momento all'altro.

Era una vera e propria guerra fredda: si profilava una nuova prova di forza tra i due contendenti, impegnati ciascuno a garantire la propria sicurezza. In vista di un nuovo conflitto, le due potenze, già prima del 300 a. C., avevano messo in moto le loro diplomazie e avevano stretto nuove alleanze. Erano manovre diplomatiche dirette a creare nuove alleanze con i popoli stanziati alle spalle dell'avversario.

Nel 298 a. C., tutti i popoli dell'Italia settentrionale (Galli, Senoni, Etruschi, Umbri, Sabini) e quelli dell'Italia meridionale (Sanniti e Lucani) si sentivano minacciati da Roma: temevano la sua potenza e la sua prepotenza, temevano di perdere le loro terre e la loro indipendenza. Per poter fronteggiare questo pericolo anche i Sanniti miravano a procurarsi a Nord alleati da scatenare contro Roma.

A loro volta, i Romani, nell'intento di isolare il Sannio e consolidare la loro egemonia nell'Italia centrale, avevano stipulato una serie di alleanze con i popoli sabellici (Marsi, Peligni, Marrucini e Frentani) e avevano avviato trattative anche con i popoli della Puglia. Roma aveva un obiettivo preciso: assicurarsi un saldo controllo dell'Italia centrale.

A tal fine nel 304, grazie alle alleanze stipulate già coi Sabelli, prima che finisse la seconda guerra, Roma aveva potuto iniziare, attraverso la Val Nerina, la costruzione di una grande arteria militare (la via Valeria): era una strada che da Roma doveva raggiungere la costa adriatica per accerchiare il Sannio, per attaccare e aggredire i Sanniti, gli Irpini1, dalla Puglia.  Due anni dopo (302), anche i Vestini erano alleati di Roma. Nel 302-301, i Romani avevano organizzato in Etruria parate militari allo scopo di intimorire le città etrusche. Nell'Umbria meridionale, essi, dopo aver preso Nequinum con l'inganno, vi avevano fondato una postazione militare per tenere a bada gli Umbri. Questa colonia latina che, dal nome del fiume Nar, fu detta Narnia, in Umbria presidiava il primo tratto della via militare Roma-Adriatico, la via Valeria.

La battaglia di Aquilonia

Una zona abbastanza pianeggiante, adatta allo scontro fra le due armate (ogni legione era formata da circa 4000 combattenti), era la  valle del Calaggio nel triangolo Lacedonia - Scampitella - S. Agata di Puglia. Dunque, nella piana tra il fiume Calaggio e  S. Agata di Puglia deve aver avuto luogo la battaglia finale tra Roma e i Sanniti. I due consoli romani, che si tenevano informati tramite corrieri, decisero di attaccare battaglia contemporaneamente nello stesso giorno.  Cominio, assediata, fu attaccata per evitare che mandasse rinforzi ad Aquilonia.  Il console Papirio aveva ben congegnato il piano di battaglia architettando anche un agguato diretto a scompaginare l'armata dei Sanniti. Il tranello doveva scattare quando il console avrebbe innalzato l'asta come segnale. La strategia adottata da Papirio e le fasi della battaglia sono così descritte da Tito Livio:

Volle il caso che mentre già stava uscendo in campo, un disertore gli rivelasse che venti coorti dei Sanniti (erano formate da circa 400 uomini ciascuna) erano partite alla volta di Cominio.  Per mettere al corrente di ciò  il collega gli mandò subito un messaggero; quanto a lui, fece avanzare più rapidamente i suoi reparti. Aveva distribuito nei vari punti le truppe di riserva e assegnato a ciascuna schiera il relativo comandante; a capo dell'ala destra pose Lucio Volumnio, della sinistra Lucio Scipione, a capo della cavalleria gli altri luogotenenti, Caio Cedicio e Tito Trebonio; a Spurio Nauzio ordinò di togliere il basto ai muli, di condurli prontamente insieme a tre coorti delle ali, facendo compiere loro un giro intorno a un'altura bene in vista , e di farsi notare nel pieno del combattimento sollevando quanta più polvere fosse possibile nel pieno del combattimento2.

La disfatta di Aquilonia e la caduta di Cominio

 Come si vede, sono dettagli strategici che Livio 3 deve aver attinto nella relazione inviata al Senato e al popolo romano dal console Papirio dopo la battaglia di Aquilonia. Questo stratagemma seminò il panico e lo scompiglio fra le coorti linteate e fra i combattenti sanniti che iniziarono una precipitosa fuga .

Scrive Tito Livio:

  "La schiera dei fanti che scampò alla battaglia fu ricacciata verso l'accampamento o verso Aquilonia; la nobiltà e i cavalieri si rifugiarono a Boviano.  Il cavaliere insegue il cavaliere, il fante il fante; le ali si volgono verso direzioni opposte, la destra all'accampamento dei Sanniti, la sinistra alla città. Volumnio prese l'accampamento alquanto prima; presso la città Scipione incontra una resistenza più forte, non perché i vinti abbiano più coraggio, ma perché le mura proteggono dagli attacchi più di una palizzata: di là tengono lontano il nemico con lancio di pietre.

Intanto sulla destra era stato occupato l'accampamento, mentre sulla sinistra si levava dalla città un confuso vociare dei combattenti e della gente in preda al terrore. Era la disfatta. Nel corso della notte, mentre una delle porte era controllata dai Romani, la città era stata abbandonata dai Sanniti: la popolazione era fuggita dalla parte opposta. Probabilmente, vie della fuga erano state le gallerie e le grotte, ben visibili ancora oggi, scavate nel sottosuolo tufaceo dell'antico centro abitato. Le grotte, corrispondenti alle gallerie sotterranee, sono orientate in direzione della via antica che attraversa la località Pauroso (locus pavoris = luogo della paura) e porta in direzione di Pietra Boiara, in agro di Teora, e di Montella (Bovianum in Hirpinis).   Con la stessa fortuna l'altro console Carvilio combatté a Cominio, dove i combattenti sanniti erano numericamente inferiori. Attaccati da ogni parte, i combattenti, abbandonate le torri e le mura, si erano rifugiati nella piazza centrale, nel Foro, dice Livio. Gettate le armi circa 11.400 uomini si arresero al console: i morti furono circa 4.880. Cominio era stata espugnata (fig.8). Sul campo di battaglia di Aquilonia (se dobbiamo prestare fede alla cifra fornita da Livio) rimasero 24.340 combattenti sanniti e ne furono fatti prigionieri 3870.

Ma seguiamo ancora la narrazione di Tito Livio:

  "Così andarono le operazioni a Cominio, così ad Aquilonia; nel tratto compreso fra le due città, dove ci si era atteso un terzo combattimento, non si trovò traccia dei nemici. Richiamati indietro quando distavano sette miglia (= km 10, 379) da Cominio, non parteciparono a nessuna delle due battaglie. Quasi sul far della notte, quand'era ormai in vista l'accampamento, quand'era in vista Aquilonia 4, si fermarono alle grida che si levavano ugualmente forti da entrambe le parti ; poi le fiamme che dalla zona dell'accampamento, il quale era stato incendiato dai Romani, si propagarono per largo tratto, costituendo un indizio più sicuro della disfatta, impedirono loro di proseguire oltre;  passarono tutta la notte senza chiudere occhio in quello stesso luogo, sdraiati qua e là alla rinfusa, con le armi indosso, aspettando e temendo la luce del giorno. Sul far dell'alba, mentre erano incerti sulla direzione da prendere, sono improvvisamente volti in fuga: li aveva avvistati la cavalleria, che inseguendo i Sanniti, usciti di notte dalla città, aveva veduto questa moltitudine non protetta né da trincee né da corpi di guardia. Tale moltitudine era stata avvistata anche dalle mura di Aquilonia 5, e già muovevano ad inseguirla anche le coorti della legione ; ma la fanteria 6 non riuscì a raggiungere i fuggitivi, e la cavalleria ne uccise circa 280 della retroguardia 7 ; in preda al terrore, abbandonarono molte armi e diciotto insegne militari; il resto della colonna, incolume, com'era naturale in tanta confusione, giunse a Boviano".

L'ubicazione di Aquilonia

Qualche storico ritiene che nel Sannio ci siano state due Aquilonie, ma non vi sono fonti storiche o epigrafiche di conferma. Gli studiosi più accreditati, a giusta ragione, sostengono che vi era una sola Aquilonia, quella citata da Tito Livio.   Il teatro della battaglia del 293 è l'attuale Lacedonia in Irpinia. A favore di questa tesi (Aquilonia = Lacedonia), vi sono vari elementi utili:

1)         i passi di Dionisio di Alicarnasso e di Tito Livio, già citati [pp.12, 13,14,15 del libro];

2)         la Carta di Peutinger, che è una guida stradale di età romana;

3)         le monete Akudunniad attribuite a Lacedonia;

4)         un'epigrafe, custodita nel Seminario vescovile di Lacedonia ;

5)        il passo di  Plinio il Vecchio 1:  gli abitanti di  Aquilonia ( gli Aquiloni)  erano  stanziati nella II regione augustea, che comprendeva Apulia, Calabria (= Salento) e Irpinia

6)         le testimonianze archeologiche di età sannitica, notevoli nel centro abitato e nel territorio;

7)         la presenza di un municipium in epoca romana.

1)  Dionisio di Alicarnasso menziona la spedizione dei Sanniti contro i Lucani, loro confinanti. Livio attesta che i Sanniti, fallite le trattative di un'alleanza militare coi Lucani, avevano invaso il territorio lucano. Come si può notare, le versioni dei due storici concordano. Il fiume Ofanto, come è noto, segnava il  confine tra l'Irpinia e la Lucania.     Chi erano dunque i confinanti dei Lucani ? I  Sanniti   Pentri   confinavano  forse   con   l'Ofanto  e   con  i   Lucani ?   Non   c'è  dubbio  che i Sanniti invasori, menzionati da Dionisio di Alicarnasso e da Tito Livio, erano i Sanniti irpini, confinanti con i Lucani.  Teatro di guerra era la linea dell'Ofanto.

2) Anche la Tabula di Peuntinger, una carta geografica di epoca romana (circa 250 d. C.), segna sulla via Appia la stazione di Aquilonia (=Capo dell'Acqua) tra Subromula (= Serroni di Bisaccia) e la mutatio Ponte Aufidi o Pons Aufidi (= villa rustica di Bosco Siricciardi nell'agro di Montevrede, AV).  In questa guida stradale, Aquilonia dista da Subromula XI miglia (=VI miglia, rettificate) e da Ponte Aufidi VI miglia (= XI miglia, rettificate) 2 .    Da notare:   in questa  Tabula   il copista, evidentemente  distratto, ha invertito e  alterato le distanze.      La capitale del Sannio Pentro, Bovianum Vetus, era stata conquista nel 311 a. C.  e, sei anni dopo, nel 305, nello stesso territorio era stata presa anche l'altra fortezza di Bovianum, sita su Montevairàno. Rimaneva libero solo il Sannio meridionale. La terza guerra sannitica durò ben otto anni (298-290 a. C.). Nel 298 Roma attaccò Bovianum (Hirpina) e l'Aufidena (così allora si chiamava l'area dell'alto Ofanto): il coronimo evidentemente è derivato da Aufldus = Ofanto.

3)  Nel 293, come abbiamo detto, ad Aquilonia era stata indetta la mobilitazione generale: il che vuol dire che la nuova capitale del Sannio libero era Aquilonia. La testimonianza è data dalle monete coniate forse in quell'occasione. Il noto glottologo Giacomo Devoto 3  scrive: Di Aquilonia, irpina, si ha pure una moneta di bronzo con la testa di Athena e la leggenda: Akudunniad."

4)    Il nome Akerunnia (= Cicogna madre) ricorre anche nelle famose Tavole di Gubbio 4.Una epigrafe lacunosa (ha un angolo frantumato), trovata a Lacedonia, in località Capi dell'Acqua, è custodita nel Museo Diocesano (foto 8). L'iscrizione si presta a letture diverse: 1 ."ECNE(R) ACRIV"; 2. “ECN(AR) ACRIV..."; 3."EGNA(TIVS) AGRIV...".

La  prima  lettura   testimonierebbe   l'origine   osca   dell'epigrafe:  ECNE. . .ACRIV  =  EC NE(R) AK(E)RIV 5 = Ecco il nume: la Cicogna.

Seconda lettura: EC N(A)R AK(E)RIV = Ecco la sorgente Cicogna. Quale? Capi dell'Acqua 6 ? Proprio qui, in età romana, sulla via Appia era la stazione di Aquilonia (mutatio): ancora oggi vi è una grossa sorgente d'acqua.   Terza lettura: EGNA.../ ACRIV = EGNA(TIE) A(NIMO) G(RATO) R(ECIPE) I(VSTUS) V(IR) = “O Egnazio, uomo illustre, accetta con animo grato (questa lapide)".Va osservato che ACRIV non sembra una sigla: le singole lettere di ACRIV non sono seguite da punti. Chi era quest'illustre personaggio?

Gellio Egnazio 7 era il condottiero sannita di cui abbiamo già parlato. Egli, nel 296 a. C., era stato protagonista di un'azione in grande stile contro Roma: nel corso della terza guerra sannitica, a capo di un esercito sannita, si era recato in Etruria per coalizzare Etruschi, Galli Senoni e Umbri e per sferrare insieme un attacco. Era proprio di Aquilonia quel grande condottiero, caduto nella sanguinosa battaglia del  Sentino (=Sassoferraìo. AN) ?

Nella guerra sociale, com'è noto, gli Irpini furono fra i popoli insorti contro Roma: rivendicavano anch'essi la cittadinanza e il diritto di voto. L'epigrafe potrebbe riferirsi a Mario Egnazio, protagonista e capo militare in quella guerra. Mario Egnazio, generale sannita durante la guerra sociale (forse era il capo dei rivoltosi irpini), unitosi ai Galli, sconfisse presso Camerino la legione romana del propretore L. Cornelio Scipione Barbato. Mario Egnazio, citato da Appiano 8, è incluso nella lista dei generali insorti nella guerra sociale: egli, dopo aver sconfitto presso Teanum Sùlicinum il console L. Giulio Cesare, prese per tradimento Venafro uccidendo due manipoli di soldati romani. Ma nell'89 a. C. Gaio Cosconio, dopo aver devastato i territori di Larinum, Asclum (Ausculum) e Venusia uccise il coraggioso condottiero sannita. Era un irpino?

L'epigrafe citata, probabilmente, risale alla guerra sociale (91-87 a.C.), quando Aquilonia, inserita nel mondo romano, era già municipium. Il popolo di Aquilonia, insorto contro Roma, però continuava a parlare la lingua madre, l'osco. La lingua ufficiale era il latino. Il popolo, dopo tre secoli di dominazione di Roma, non conosceva più l'alfabeto osco, caduto in disuso.

Perciò (se è valida questa interpretazione) nell' iscrizione osca sono usati i caratteri latini. In questo documento epigrafico, Aquilonia, in tal caso, rivendicherebbe la propria identità etnica, la sua autonomia. Infatti, esalta il suo nume: la Cicogna. Nel documento, perciò, è usata la lingua madre (l'osco), contrapposta alla lingua straniera, la lingua latina, imposta da Roma.

5)    In età augustea, gli Aquiloni (= gli abitanti di Aquilonia), erano stanziati nella II Regione augustea.   Plinio il Vecchio 9 elenca gli abitanti (incolae) di questa regione in ordine alfabetico:  inoltre, nella seconda regione, nel territorio interno (intus ) degli Irpini, vi sono: la colonia di Benevento, che, in segno di migliore auspicio, mutò il suo nome (un tempo si chiamava Malevento), gli Acculani ( Arianesi ed Eclanesi ), gli Aquiloni ( Lacedoniesi ), gli Abellinati (Avellinesi) detti Protropi, i Compsani (i Conzani), i Caudini (Montesarchiari), i Liguri Corneliani e Rebiani..."

La seconda regione comprendeva "Apulia, Calabria "( Puglia e Salento ) e l'Hirpinia: l'irpinia però allora era più vasta: comprendeva una buona parte del Beneventano. La terza guerra sannitica finì nel 290 a. C.

Non conosciamo le clausole esatte di quel trattato perché il testo originale di Livio è andato perduto. Nelle Periochae è detto semplicemente: "Fu rinnovato il trattato per la quarta volta". Si noti che Roma, anche in questa circostanza, chiama alleanza (foedus) il suo diktat, imposto ai Sanniti vinti: era un foedus iniquum. La storia è scritta sempre dal vincitore.

6)   Il centro abitato e tutto il territorio di Lacedonia è ricco di testimonianze archeologiche riferibili ad età sannitica (IV-III secolo a. C.). Durante i lavori di sterro destinati alle fondazioni della Scuola Media Statale di via F. De Sanctis furono sconvolti e distrutti vari strati archeologici fitti di cocciame a vernice nera (si trattava di una discarica d'età sannitica) e le terme di età romana. Così Lacedonia ha distrutto la sua storia. In tutto il territorio di Lacedonia vi sono tombe d'età sannitica e romane sconvolte dall'aratura meccanica.

7)  Tutta l'Irpina, dopo la guerra di Pirro, cadde definitivamente in potere di Roma. Come risulta dalle epigrafi rinvenute nel suo territorio, Aquilonia divenne municipium. In genere ( ne abbiamo fatto cenno anche altrove) il municipio era una città annessa, preesistente al dominio di Roma: era governata dai propri cittadini che però non godevano diritti politici.

Potevano conservare una certa autonomia amministrativa, le proprie istituzioni, la propria lingua. Avevano però precisi doveri (munera): avevano l'obbligo di pagare tributi, di fornire contingenti militari, di usare la moneta coniata a Roma. In taluni casi, agli abitanti di un municipio benemerito, era accordato il diritto di voto (ius suffragii) nei comizi, che si tenevano a Roma e, a volte, anche il diritto di accedere alle cariche pubbliche (ius honorum).

Di qui deriva la distinzione fra municipium cum suffragio et sine suffragio (municipio avente diritto di voto e senza diritto di voto). La  progressiva romanizzazione portò in tutto l'Impero all'unificazione delle istituzioni municipali che furono modellate su quelle di Roma.

Nel municipium, in genere, tre erano gli organi municipali : I) l'assemblea del popolo (comitia) 2) il senato (curia, ordo decurionum); 3) i  magistrati (aediles, quaestores,  duumviri).Tutte  queste  istituzioni municipali sono attestate nelle epigrafi di Lacedonia. Dal III sec. a. C. i municipi benemeriti ottennero man mano la cittadinanza piena con estensione sia collettiva sia individuale.

Dopo il 90 a. C., le città italiche, e tra queste Aquilonia (Lacedonia), ottennero la cittadinanza romana e divennero municipi retti da quadrumviri : due di questi si occupavano dell'amministrazione (aedilicia potestate) e due delle questioni giudiziarie(iure dicundo). Nel 44 a. C., in Italia tutti i municipi avevano già ottenuto la cittadinanza completa.

Intanto,  per  poter  ristabilire  la  verità  storica,  riteniamo indispensabile avviare nella valle del Calaggio una sistematica indagine archeologica diretta a individuare il luogo esatto della battaglia. La ricerca va finalizzata anche alla ricostruzione delle fasi della famosa battaglia e alla dinamica della strage.

Nei posti, dove sono avvenute battaglie famose, le tracce non scompaiono come la neve esposta al sole. Negli antichi campi di battaglia, l'aratura meccanica, anche dopo tanti secoli, fa affiorare reperti che non sfuggono agli occhi di un esperto archeologo, di un osservatore attento o anche di chi è cultore di archeologia.

Anche dopo secoli, un campo di battaglia può restituire testimonianze e oggetti di epoca sannitica e romana, riferibili all'attività militare: reperti ossei (resti scheletrici umani, frammenti di calotta cranica, mandibole con denti, ossa prive di connessione anatomica), catene di carri da rifornimento, frammenti di oggetti metallici appartenenti al mondo militare (armi da lancio in frammenti, resti di armature, di cinturoni, pezzi informi di metallo, proiettili di piombo (glandes plumbeae), pezzi di elmo, frammenti di corazze, sostegni di pennacchi.

I caduti nella battaglia di Aquilonia furono combusti oppure seppelliti in fosse comuni, ricavate in concavità naturali ? I reperti ossei, gli informi oggetti metallici, portati alla luce dall'aratura meccanica nella valle del Calaggio, appartengono al mondo militare, oppure si riferiscono a necropoli di epoche diverse? Nella pianura che declina verso la riva sinistra del fiume Calaggio, specie nella località detta Serro dello Zimmaro, l'aratura meccanica porta sistematicamente alla luce resti ossei e reperti metallici. Tutta la valle del Calaggio è una zona archeologica di primaria importanza: va sistematicamente indagata per ristabilire definitivamente la verità storica. 

La Soprintendenza Archeologica di Salerno e, soprattutto, chi scrive sperano che siano segnalati eventuali reperti.

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Ultimo aggiornamento: 13-12-06