Partimmo al mattino e la squadra pranzò in un ristorante nei pressi della cittadina del napoletano. Alcuni di noi temevano quella partita, non tanto per il risultato, quanto per l’accoglienza poco amichevole che i dirigenti della squadra avversaria potevano riservarci. Ma,come si dice,“ogni pargolo ha il suo angelo“, e il nostro si materializzò nella persona di Don Luigi. Don Luigi era un commerciante di prosciutti, provoloni e generi alimentari; in gioventù aveva girato tra i paesi dell’Alta Irpinia per vendere i suoi prodotti e, chissà per quale motivo, gli era rimasto nel cuore soprattutto Lacedonia. Quando venne a sapere che la squadra del Lacedonia era a pranzare in un ristorante della zona.... “La busta, avete dimenticato la busta”. ...arriviamo allo stadio di Poggiomarino e siamo ormai concentrati sulla gara; Calato lo stato di tensione, eravamo tranquilli e si pensava solo a fare le cose di routine che chiunque deve affrontare una gara sportiva a qualsiasi livello, sia esso professionistico o dilettantistico, normalmente fa. Ora, credo che chiunque faccia o abbia fatto sport, scarica la tensione della gara in modo personale: per sempio c’é chi la sera prima fatica a prendere sonno, chi fatica ad alzarsi, chi non mangia, chi al mattino non la fa nemmeno sotto tortura, chi per cambiarsi lega le scarpe da gioco sempre al solito modo, chi porta le fascette per legare i calzettoni in modo che possa apparire la nocca, chi tira giù i calzettoni, chi fascia le caviglie, chi dispone gli abiti e le scarpe sempre nella solita posizione, chi si lucida le gambe con l’olio di canfora, chi si pettina, chi prende il micoren, chi si bagna i capelli, chi entra per ultimo in campo, chi per primo e ancora si potrebbe continuare perché di queste cose mai se ne parlava ma tutti noi procedevano ai nostri riti osservando con discrezione quelli degli altri. E’ vero che in questo c’é anche qualcosa di scaramantico, ma nessuno ci faceva caso. O almeno finché lo “scaricare” la tensione non coinvolgeva anche gli altri: perché alcuni di noi, e alludo a quelli che al mattino e chi sa per quanti altri mattini nemmeno per tormento, improvvisamente prima delle partite avvertivano un profondo bisogno di liberazione. Quasi sempre lo spasmo prendeva dieci minuti prima dell’inizio della partita e manco a farlo apposta, se prendeva ad uno si trasmetteva agli altri contemporaneamente. Nella nostra squadra ce n’erano in genere tre, ma la cosa era presa con benevolenza da tutti e addirittura con dolcezza si ironizzava sulla cosa, almeno fin quando tutto filava liscio e gli spogliatoi erano completi e idonei allo scopo. Ma gli spogliatoi di Poggiomarino non erano idonei allo scopo: erano nuovissimi, accoglienti, puliti, spaziosi ma mancavano di una cosa; non vi erano servizi. L’impressione era che, per quelle cose che possono accadere solo in determinati posti, si fossero dimenticati di costruirli all’interno dello spogliatoio e stavano riparando alla mancanza adibendo una capannino all’esterno che però serviva solo per le cose più semplici. Il solerte custode, devoto di Don Luigi, si era giustificato così. Dunque tutto si svolgeva come in un normale prepartita: la formazione, gli accorgimenti dell’allenatore , il riscaldamento e infine il riconoscimento con l’arbitro. Il riconoscimento era sempre il momento fatale per i nostri bravi compagni: l’arbitro pronuncia il cognome del giocatore che risponde dicendo il proprio nome ed il numero di maglia; l’arbitro osserva il documento ed il tesserino, guarda il giocatore e va avanti così con tutta la squadra. Questo momento formale con la giacchetta nera provocava uno stato di necessità di espulsione improvvisa, ma, nel caso in particolare, anche di panico: come fare, dove andare, fare presto! I nostri non se lo chiesero apertamente, ma l’espressione degli sguardi complici e alleati, lo rivelava apertamente. Giocammo la partita. Al termine della gara di nuovo negli spogliatoi: come al solito sotto le docce si parla un po' della partita, ma subito dopo si cambia subito argomento per parlare di tutto, meno che della gara. In genere il tema che ti fa cambiare discorso è sempre lo stesso. Fino a quando a qualcuno é venuto a mente il momento di panico prima della partita; perché non ci aveva fatto caso più nessuno e i bravi amici interessati giocavano leggeri, veloci e senza alcun affanno. “ Come avete fatto? “ Era la domanda di tutti. Con lo stesso sguardo complice e correo indicarono un angolo del pulito e accogliente spogliatoio; c’erano tre buste ben confezionate in una più grande. La prendemmo sul ridere e scherzando sull’accaduto ci avviavamo tranquilli al pullman: finché il custode delicatamente: “ La busta, non dimenticate la busta! “
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